15/03/2023, 12.29
AFGHANISTAN - RUANDA
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Rifugiati afghani in Ruanda, le contraddizioni di un Paese definito 'sicuro'

Il premier britannico Rishi Sunak ha proposto di spedire in Ruanda tutti i richiedenti asilo che attraversano la Manica. Almeno 250 ragazze di una scuola di Kabul erano già state trasferite a Kigali via Doha ad agosto 2021 dopo la riconquista dei talebani. Ma il governo del Paese africano utilizza i ricollocamenti per farsi scudo delle accuse di violenze anche fuori dai propri confini. Nel Golfo detenuti migliaia di profughi afghani in condizioni disumane.

Milano (AsiaNews) - Il Ruanda è diventato uno dei Paesi dove gli Stati occidentali preferiscono inviare i rifugiati afghani quando questi non restano bloccati in Paesi terzi o rispediti indietro, come è noto facciano Turchia e Iran. Sempre più richiedenti asilo sono ricollocati in Africa (anche grazie al sostegno delle agenzie delle Nazioni Unite), ma in Stati che non sono certo immuni da critiche sulle violazioni dei diritti umani.

Subito dopo la riconquista dei talebani, avvenuta ad agosto 2021, circa 250 studentesse del collegio femminile School of leadership Afghanistan (SOLA) già evacuate a Doha, in Qatar, erano state trasferite a Kigali “per continuare la loro istruzione”, che da due anni è vietata alle ragazze rimaste in patria. Nello stesso periodo anche l’Uganda aveva accolto oltre 2mila profughi afghani su richiesta del governo degli Stati Uniti.

L’idea di mandare i profughi afgani in Ruanda ora viene nuovamente ventilata anche dal primo ministro britannico Rishi Sunak che a inizio mese ha annunciato un disegno di legge per impedire ai migranti che attraversano il Canale della Manica di chiedere asilo nel Regno Unito: Londra intende, “non appena ragionevolmente possibile”, ricollocare i richiedenti asilo in Ruanda o in un “Paese terzo sicuro” allo scopo di “contrastare l’immigrazione illegale”, ha detto il premier. E questo nonostante nel 2022 una persona su cinque arrivata via mare nel Regno Unito fosse afghana, nazionalità a cui nel 98% dei casi viene concesso l’asilo politico a causa delle persecuzioni e delle violazioni dei diritti umani da parte dei talebani.

Anche senza entrare nelle trame giuridiche che distinguono i tipi di protezione internazionale dall’immigrazione irregolare e senza valutare se la decisione del governo britannico violi le Convenzioni sui rifugiati di cui Londra è firmataria, risulta difficile incasellare il Ruanda (insieme a Uganda, Sudan e Somaliland, tutte nazioni africane che si sono offerte di accogliere i profughi afghani) nel novero dei “Paesi sicuri”. 

In passato il presidente ruandese Paul Kagame aveva minacciato di espellere i rifugiati già presenti nel Paese (circa 127mila solo quelli registrati dall’UNHCR, l’Agenzia Onu dei rifugiati) se la comunità internazionale avesse criticato le attività del suo governo, guidato dal Rwandan Patriotic Front, salito al potere dopo il genocidio del 1994. Human Rights Watch ha criticato la campagna condotta dal partito contro gli oppositori politici, spesso detenuti arbitrariamente e torturati. Ma le azioni violente del governo ruandese si estendono anche oltre i propri confini, colpendo dissidenti e membri della diaspora anche all’estero e sostenendo sul piano militare il gruppo ribelle M23, che combatte contro il governo della Repubblica democratica del Congo.

Shabana Basij-Rasikh, insegnante, attivista per i diritti delle donne e fondatrice di SOLA, ad agosto 2021, documentando su Twitter il ricollocamento delle studentesse, lo aveva definito un “reinsediamento non permanente”, una sorta di “semestre all’estero” prima di poter “tornare a casa in Afghanistan”. 

Le cose sono andate diversamente (presto alla scuola arriveranno, portate dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni, altre ragazze per l’inizio del nuovo anno scolastico) e alla fine quella di spedire i profughi afghani in Ruanda è una soluzione che mette d’accordo tutti: le ragazze afghane possono continuare a studiare, gli Stati Uniti possono sentirsi meno in colpa per aver abbandonato il Paese ai talebani dopo 20 anni di guerra (un servizio su SOLA e le ragazze afghane e presentato come “una storia di speranza" è andato in onda nei giorni scorsi sulla nota emittente televisiva Usa CBS), mentre i governi africani possono ripulirsi l’immagine agli occhi della comunità internazionale sperando che per l’“aiuto umanitario” di cui si stanno facendo carico non vengano imposte loro sanzioni o restrizioni.

La questione dei rifugiati afghani si ripropone poi in maniera simile nel Golfo: 2.700 persone sono da 15 mesi parcheggiate negli Emirati Arabi Uniti, dove non hanno possibilità di accedere a percorsi legali per ottenere lo status di rifugiato. Rispondendo anche in questo caso alla richiesta del Dipartimento di Stato americano di accogliere i richiedenti asilo prima che questi vengano reinsediati negli Stati Uniti, le autorità di Abu Dhabi hanno rinchiuso gli afghani in un luogo chiamato Emirates Humanitarian City, che secondo le testimonianze è però sovraffollato, fatiscente e infestato da insetti. Un rapporto di Human Rights Watch sostiene inoltre che la maggior parte dei detenuti soffra di depressione.

Le condizioni dell'Afghanistan nel frattempo continuano a peggiorare, e non solo dal punto di vista umanitario: in base a un rapporto del Global Terrorism Index uscito nei giorni scorsi il Paese è per il quarto anno consecutivo quello con il più alto numero di attentati al mondo. L’ultimo, sferrato di recente dal ramo locale dello Stato islamico (Is-K), ha colpito un gruppo di giornalisti a Mazar-i Sharif, capoluogo della provincia di Balkh, nel nord del Paese: i talebani hanno confiscato i cellulari e trattenuto i sopravvissuti, forse per dare l’impressione di avere la situazione sotto controllo ed evitare che la notizia venisse diffusa anche all’estero.

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