16/03/2023, 10.29
A. SAUDITA - IRAN
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Satloff: accordo con Teheran scelta ‘strategica’ di Riyadh. Yemen prima prova

di Dario Salvi

Secondo l’esperto del Washington Institute la ripresa delle relazioni è “significativa”. Esagerata l’esaltazione di Pechino come mediatore. Non c'è un cambiamento di fronte da parte dei sauditi, ma la volontà di allargare la cerchia dei propri partner. In Yemen necessario raggiungere una tregua duratura. Israele, come gli Emirati, può approfittare e allargare gli Accordi di Abramo. L'Arabia Saudita apre a investimenti in Iran. 

Milano (AsiaNews) - La ripresa delle relazioni fra Teheran e Riyadh è “significativa”, ma vi è esagerazione sul ruolo di Pechino “come mediatore” o sul “cambiamento strategico” di Riyadh, il cui obiettivo è ridurre al minimo “le minacce esterne alla sicurezza” per proseguire le riforme. È quanto afferma in questa intervista ad AsiaNews Robert Satloff, direttore esecutivo di The Washington Institute, esperto di questioni mediorientali e di politica arabo-israeliana. Lo studioso sottolinea che un “primo test” dell’accordo si gioca nello Yemen, dove si dovrà “costruire e mantenere” una tregua duratura. E a differenza di altri, egli ritiene che la partita per Israele sia tutt’altro che persa perché “un allentamento delle tensioni fra Arabia Saudita e Iran” spalanca la porta “a legami più forti fra Riyadh e Israele“ come fatto di recente dagli Emirati Arabi Uniti.

Teheran e Riyadh hanno interrotto le relazioni nel 2016 per l’assalto al consolato saudita in Iran in risposta all’esecuzione del leader sciita Nimr al-Nimr. Una controversia che ha innescato ripercussioni a livello regionale, fra cui l’isolamento del Qatar (interrotto a inizio 2021) perché considerato troppo vicino a Teheran. Le due potenze regionali si trovano su fronti opposti in molti dossier, dallo Yemen alla Siria, oltre a rappresentare i due principali punti di riferimento per l’islam sciita e sunnita. Tuttavia, ad aprile di due anni fa il principe ereditario saudita Mohammad bin Salman (Mbs) ha detto di volere buone relazioni con Teheran. Una svolta determinata anche dal cambio di amministrazione a Washington, col passaggio dalla “massima pressione” di Donald Trump, al tentativo peraltro sinora fallimentare di rilanciare l’accordo nucleare. Ed è notizia di oggi l’annuncio di possibili investimenti di Riyadh “in tempi brevi” in territorio iraniano. A dirlo è Mohammed Al-Jadaan, ministro saudita delle Finanze, che vede nella Repubblica islamica “molteplici opportunità” e non vi è ragione per escludere“significativi” investimenti fra le parti.
Di seguito, l’intervista a Robert Satloff: 

Sulla ripresa dei rapporti fra Arabia Saudita e Iran vi sono pareri discordanti: lei che idea si è fatto e quali sono - se ve ne sono - i benefici per i due Paesi?
La ripresa delle relazioni fra sauditi e iraniani è significativa, ma ha innescato una reazione esagerata sia attorno al ruolo della Cina come mediatore regionale, sia sul cambiamento strategico nelle alleanze di Riyadh rispetto ai partner tradizionali in direzione di Pechino. A mio parere, si tratta soprattutto di una scelta strategica di Riyadh per raggiungere una tregua a breve termine nello Yemen e su altri fronti con l’Iran. L’obiettivo è perseguire la sua politica vigorosa di riforma economica, sociale e culturale interna riducendo al minimo le minacce esterne alla sicurezza.
Storicamente gli Usa sono stati i loro primi garanti, ma i sauditi si sono stancati dei vincoli imposti dalle varie amministrazioni statunitensi o del loro progressivo disimpegno nella regione. Ripristinare le relazioni con l’Iran non vuol dire abbandonare l’orbita di Washington a favore di una alleanza con Teheran, perché i legami sauditi con le infrastrutture della sicurezza nazionale Usa sono troppo profondi e le differenze con l’Iran troppo manifeste sul piano ideologico, politico e relazionale. Questa è una virata strategica, ma i risvolti nel lungo periodo restano incerti. L’Arabia Saudita allarga la cerchia dei partner in materia di sicurezza, concedendo un profilo più elevato agli europei (britannici e francesi) e persino uno spazio per Israele, che se agisce in modo intelligente può diventare utile fonte di partnership in aree di alto profilo. 

L’accordo prevede due mesi perché le parti diano prova di buona volontà. Secondo lei vi saranno ulteriori passaggi che segneranno una svolta fra le due nazioni?
Un primo test dell’accordo si giocherà attorno allo Yemen, dove si vedrà se sapranno costruire e mantenere una tregua duratura. Altro banco di prova è l’Hajj, il pellegrinaggio maggiore [spesso usato da Riyadh in passato come strumento politico, ndr] alla fine di giugno, palcoscenico in cui in passato l’Iran ha dato prova di furberie e dispetti nei confronti dell’Arabia Saudita. Ma sono sicuro che vi saranno altri test lungo il cammino.

Dietro il disgelo vi sarebbe la mediazione di Pechino. Per la Cina è davvero un successo in ambito diplomatico (ed economico) in Medio oriente, che può cambiare i rapporti di forza - e influenza - con gli Stati Uniti?
Credo che il ruolo della Cina sia stato inferiore rispetto a come viene celebrato, nella finalizzazione dell’accordo. Del resto appare assai improbabile che Riyadh faccia troppo affidamento su una Cina che appare lontana, come reale fonte di sicurezza. Piuttosto, puntare su Pechino come mediatore sembra più che altro uno schiaffo deliberato all’amministrazione Biden, forse per compensare il rifiuto della Casa Bianca di scusarsi per le critiche del presidente sulla politica petrolifera a settembre. Va notato che il giorno successivo all’annuncio dell’accordo è stato reso pubblico anche un altro mega-contratto, relativo all’acquisto multi-miliardario di oltre un centinaio di aerei Boeing da parte di Riyadh. I sauditi vogliono diversificare le loro relazioni, non cambiare squadra.

Yemen, Libano, Iraq: sono molti i palcoscenici in cui Teheran e Riyadh operano e influenzano le vicende interne dei Paesi, spesso scontrandosi. Vi saranno evoluzioni anche in questi scenari?
Alcune di queste aree sono più importanti per l’uno o per l’altro attore, a seconda degli interessi in gioco. Lo Yemen è una priorità molto più per l’Arabia Saudita che per l’Iran; il Libano, patria di Hezbollah, rappresenta una priorità di grado elevato per l’Iran, molto più che per i sauditi. Quindi è probabile che vedremo cambiamenti della parte meno impegnata, nella direzione di quella che ha un interesse maggiore in quelle arene [di conflitto]. 

Israele sembra uscire sconfitto dalla ripresa dei legami fra sauditi e iraniani. Gli “Accordi di Abramo” sono destinati a fermarsi alla porta di Riyadh?
No, semmai è tutto il contrario! Penso che un allentamento delle tensioni fra Arabia Saudita e Iran spalanchi la porta a legami più forti fra Riyadh e Israele, più che chiuderli. I sauditi, a mio avviso, sono alla ricerca di una diversificazione dei partner, per creare un vero e proprio “portafoglio” in materia di sicurezza. E se Israele riesce a convincere l’Arabia Saudita che può garantire un valore aggiunto al tavolo della partita, e sempre se gli Stati Uniti completeranno il quadro con il loro contributo, allora non vi è motivo per respingere l’idea di una normalizzazione fra sauditi e israeliani. In effetti, abbiamo già visto come gli Emirati Arabi Uniti abbiano approfittato dei loro legami sia con Israele sia con l’Iran, e non vi è alcuna ragione di pensare che i sauditi non possano intraprendere un percorso simile. 

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