06/02/2020, 15.55
GIAPPONE
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Tokyo 2020: in arrivo i ‘camion moschea’ per gli atleti musulmani

L’iniziativa è del “Yasu Project”. Lo scopo è mostrare la cultura dell’ospitalità giapponese. Il retro del cingolato viene allestito come sala di preghiera. La moschea mobile ha una capienza massima di 50 persone. È previsto anche un rubinetto esterno per le abluzioni.

Tokyo (AsiaNews/Agenzie) – Moschee su quattro ruote per consentire agli atleti musulmani di pregare: è l’iniziativa lanciata dall’organizzazione “Yasu Project” per la 32ma edizione dei Giochi olimpici che si terranno a Tokyo tra i 24 luglio e il 9 agosto 2020. Lo scopo è “far sentire i visitatori musulmani come a casa”, condividendo con turisti e sportivi l’idea di “omotenashi”, ossia la cultura dell’ospitalità giapponese.

Secondo il Comitato olimpico, nel Villaggio che ospiterà gli atleti dovrebbero sorgere luoghi di preghiera per ogni religione. Yasuharu Inoue, amministratore delegato di “Yasu Project”, ha spiegato alla Reuters: “Voglio che gli atleti competano con la loro massima motivazione e che anche il pubblico tifi con lo stesso entusiasmo”. Poi ha aggiunto: “Spero che accresca la consapevolezza che nel mondo esistono persone diverse e che promuova Olimpiadi e Paralimpiadi pacifiche e non discriminatorie”.

Nella pratica, la parte posteriore del camion viene allestita a sala di preghiera, con scritte in arabo, un rubinetto esterno per le abluzioni e scalini di accesso al rimorchio. All’interno del rimorchio di circa 48 metri quadrati, possono essere ospitati circa 50 fedeli per volta.

In Giappone vivono circa 200mila fedeli dell’islam. Secondo una ricerca condotta dalla Waseda University a fine 2018, nel Paese ci sono 105 moschee, la maggior parte situata nella periferia della capitale. Il signor Inoue spera che atleti e tifosi apprezzino la “moschea mobile”. Infatti uno dei dettami dell’islam è la preghiera cinque volte al giorno, ma la distanza dei luoghi di culto dal Villaggio olimpico o dal centro cittadino potrebbe creare difficoltà ai fedeli.

Topan Rizki Utraden, un indonesiano che vive in Giappone da 12 anni, racconta che “è una vera sfida trovare un luogo tranquillo in cui pregare. Se vivi in città non ci sono problemi, se ti devi spostare da Tokyo diventa complicato. Spesso prego nel parco, ma a volte i giapponesi mi guardano con fare interrogativo”.

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