21/06/2022, 10.19
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Turkey o Türkiye: il nazionalismo di Erdogan affossa un brand mondiale

di Dario Salvi

Il presidente dietro il cambio della denominazione internazionale del Paese. La volontà di cancellare l’associazione con il volatile del Natale e parodie “offensive”. Ma le stesse autorità turche sono vittime di confusione e contraddizioni. Nel mirino anche la compagnia aerea, ma il cambio potrebbe causare perdite miliardarie. E c’è chi lancia petizioni per farsi beffa del sultano. 

Milano (AsiaNews) - “Turkey o Türkiye?” scritto utilizzando rigorosamente il segno (¨), la metafonesi sulla lettera u. Una disputa che non è solo letterale, ma dietro la quale si cela l’ennesima campagna del sultano Recep Tayyip Erdogan per rilanciare l’immagine del Paese all’estero e puntellare una traballante leadership interna in vista delle presidenziali 2023. La politica nazionalismo e islam promossa negli ultimi anni dal leader di Ankara mal si concilia, sul piano internazionale, con la denominazione di un Paese che viene associata al volatile fra i piatti simbolo dei pranzi natalizi o della festa del Ringraziamento negli Stati Uniti. Tuttavia, il lancio dai primi del mese di un nuovo nome, e un nuovo brand, che coinvolge anche il principale vettore aereo nazionale sta già incontrando le prime criticità e scatena iniziative contrarie, anche in chiave ironica e dissacratoria. “Da un lato - spiega una fonte diplomatica di AsiaNews dietro anonimato - è chiaro che chi ha uno spirito nazionalista è soddisfatto dell’uso di un vocabolo turco, perché vi è sensibilità sui nomi come sulla bandiera. Dall’altra non è però il problema numero uno della popolazione alle prese con la crisi economica, la pandemia che non può dirsi alle spalle, l’inflazione e i rifugiati… resta soprattutto un modo per solleticare la sensibilità interna”. 

Un nome, parodie e confusione

Un esempio controverso è emerso di recente, durante una conferenza stampa del ministro turco degli Esteri Mevlut Cavusoglu. “Lei vuol dire Türkiye, giusto?” ha detto il capo della diplomazia di Ankara, correggendo seppur con tono scherzoso un giornalista che gli chiedeva se la Turchia (Turkey il termine usato dal cronista) intendeva revocare il veto all’adesione di Svezia e Finlandia alla Nato. “Certo” ha risposto il giornalista dopo un primo momento di imbarazzo, salvo poi aggiungere: “Devo ripetere per questo la domanda?”.

Da che le Nazioni Unite hanno riconosciuto in via ufficiale il cambio - che, peraltro, è prerogativa del singolo Paese e non vi sono restrizioni - momenti simili di confusione si sono verificati con una certa frequenza. Dignitari, diplomatici e politici fra i quali lo stesso segretario dell’alleanza atlantica Jens Stoltenberg hanno usato il nome Türkiye nei loro discorsi ufficiali, salvo ripiegare nel più comune e familiare “Turkey” nei colloqui informali o nelle interviste. Lo stesso Cavusoglu, fra i grandi lobbisti del cambio nome voluto da Erdogan, inciampa nella vecchia denominazione, usata dopotutto per quasi un secolo sin dalla fondazione della Turchia repubblicana nel 1923.

Sul fronte interno, le reazioni al cambio di nome sono varie: per molti si tratta solo dell’ennesima invenzione per distogliere l’attenzione dalle difficoltà economiche, anche perché la maggioranza usa da sempre il nome Türkiye senza curarsi di quanto avviene sul piano internazionale. Altri si dicono invece soddisfatti di non essere più associati a un volatile “mangiato a Natale o per il Thanksgiving”. Oltretutto Turkey è oggetto di barzellette e parodie, come nel musical di Mel Brooks datato 1983 in cui si evoca “un pezzo di Polonia” e “una fetta di Turkey”. Fra quanti hanno apprezzano vi è il premio Nobel turco per la letteratura 2006 Orhan Pamuk. “Adesso quando gli anglofoni pronunciano il nome Türkiye - ha detto al Financial Times - non penseranno all’uccello che viene mangiato a Natale. E di questo ne sono molto felice”. 

Il cambiamento è però fonte di confusione e contraddizioni, come emerge già dal sito web del ministero degli Esteri: relazioni ufficiali, dicasteri e comunicati stampa riportano il nuovo nome. Altri ancora, pur essendo documenti ufficiali come nel caso di rapporti fra Ankara e Unione europea, riportano la vecchia denominazione ignorando il percorso di cambiamento partito il 4 dicembre 2021, con la firma di Erdogan a sigillare “la gloria della cultura e dei valori della nostra nazione”. Va detto che già negli anni ‘90 alcuni esportatori turchi avevano cercato di lanciare il marchio “made in Türkiye” sulle merci, ma all’epoca erano mancate unità e sostegno dello Stato. 

La compagnia di bandiera

Nei giorni scorsi, durante una riunione con il gruppo dei deputati dell’Akp, il partito di governo, Erdogan ha affermato che “la nostra compagnia aerea nazionale opererà i voli internazionali non più come Turkish Airlines, ma come Türkiye Hava Yollari”. Ovvero la traduzione in lingua turca della denominazione originaria, che verrà apposta sulle fusoliere dell’intera flotta. Una rivoluzione che non sarà certo indolore, anche e soprattutto a livello economico, visto che la compagnia di bandiera conta oggi ben 318 velivoli e rischia, secondo alcuni osservatori, di azzerare il valore di un brand che in questi anni ha saputo ritagliarsi una fetta consistente di mercato. Uno stravolgimento che ha sorpreso gli stessi dipendenti, che in forma anonima sottolineano di “non aver ricevuto informazioni sul cambio di nome. All’apparenza, si è trattato di una decisione di Erdogan”. 

Negli ultimi tre anni Turkish Airlines è risultato il marchio turco più famoso al mondo, con un valore di quasi 1,5 miliardi di euro e collegamenti con 334 destinazioni in 128 nazioni, terza per voli dopo United e America Airlines. L’ex capo esecutivo Candan Karlitekin non risparmia critiche parlando di distruzione del brand dopo le sponsorizzazioni di star del calibro di Kobe Bryant e Kevin Costner, oltre alle partnership con Barcellona e Manchester United. Anche Marketing Turkiye esprime perplessità per un possibile impatto negativo, col tentativo di globalizzazione “danneggiato in maniera irreversibile”. A questo si aggiunge il dato sui costi, con cambiamenti che vanno dalla livrea ai menù, passando per i sedili, ovunque vi sia la dicitura Turkish Airlines. Il tutto, sottolinea una fonte interna, comporterebbe “spese e tempistiche impossibili da stimare”. 

Petizione beffa

Gli sforzi messi in campo da Erdogan rischiano infine di essere vanificati da una campagna lanciata nei giorni scorsi su change.org, piattaforma online famosa per ospitare petizioni di varia natura. Forse non sul piano dei risultati, ma che di certo rappresenta già uno smacco se rapportata ai motivi che hanno spinto il sultano a modificare il nome. Nello specifico, la petizione intende cambiare il nome del tacchino da turkey a türkiye, facendosi beffe di Erdogan. Uno dei firmatari, infatti, afferma di aver aderito perché trova l’iniziativa divertente, mentre il presidente turco “non sa nemmeno cosa sia il divertimento”. Inoltre, per molte nazioni il cambio non ha alcun valore perché “gli spagnoli continueranno ad usare il vecchio nome (Turquía)”, anche perché il nuovo “è molto più difficile e ostico da pronunciare” e per la maggioranza delle persone risulta “una fatica inutile: come Myanmar per la ex Birmania”. A qualche giorno dal lancio della pagina, forse per evitare reazioni violente, il promotore della campagna - che ha raccolto poco meno di un migliaio di adesioni - ha interrotto l’iniziativa sottolineando di non voler fomentare odio e che intende continuare “a essere servito nel suo ristorante di kebab preferito”. 

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