20/10/2015, 00.00
VATICANO-LAOS
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Vescovo di Paksé: La mia Chiesa “bambina” di fronte alle sfide della poligamia

Mons. Louis-Marie Ling Mangkhanekhoun, pastore di 14.500 fedeli, con sei sacerdoti, evangelizza alla fede e al valore dei sacramenti le popolazioni di Paksé, nel sud del Paese. Fra mille difficoltà, la Chiesa cresce con le conversioni. Occorre trovare una via di fede di fronte alla poligamia “contemporanea” (con tante mogli nello stesso tempo) e quella “conseguente” (con tante mogli una dopo l’altra in tempi diversi).

Città del Vaticano (AsiaNews) - La Chiesa del Laos è una Chiesa “bambina”, che vive il primo annuncio, rivolta soprattutto ai tribali e animisti. Lo afferma mons. Louis-Marie Ling Mangkhanekhoun, vicario apostolico di Paksé, nell’estremo sud del Paese, che partecipa in questi giorni al Sinodo sulla missione della famiglia. Il suo territorio, che abbraccia un milione di abitanti, ha solo 14500 cattolici.  In tutto il Laos, su 6 milioni di abitanti, solo 45 mila sono i fedeli della Chiesa cattolica.

Per mons. Ling prendere parte alle assemblee sinodali è un’esperienza di universalità. Egli trova importante soprattutto l’educare i suoi fedeli a comprendere e vivere i sacramenti, non riducendoli a riti e cerimonie. Nel suo lavoro pastorale, devo confrontarsi con diverse famiglie poligamiche che, oltretutto, vivono d’amore e d’accordo. L’aiuto alle famiglie e all’evangelizzazione avviene attraverso i catechisti (sposati) e i seminaristi (pochi: solo 8) ai quali si chiede di andare nei villaggi della montagna e lì prendere radici, vivendo in condivisione con la popolazione, offrendo il servizio della carità e la fede. Ecco quanto ci ha detto (BC).

 

Eccellenza, qual è la sua esperienza del Sinodo?

E’ la terza volta che vengo al Sinodo. La prima volta nel 2008, poi nel 2014 e in questo del 2015. Nel 2008 a tema era la Parola di Dio. Quello dell’anno scorso e questo in corso sono sulla famiglia. Questa atmosfera così universale è molto diversa da quella locale. Il Laos confina a est col Vietnam, Paese comunista; a nord con la Cina, anch’esso comunista… Dobbiamo danzare fra il Grande fratello cinese e il Piccolo fratello vietnamita! In ogni modo, per un cattolico, abituato a considerarsi parte di un organismo universale, è molto facile integrarsi.

Quali temi del Sinodo le sembrano più importanti?

In generale, mi sembra che vi sia una difficoltà fra le persone nel comprendere il valore del sacramento.  Si tende a distinguere fra liturgia e sacramento, fra apparato ed esperienza mistica. Ma come è possibile distinguere? Per esempio, quando a una famiglia nasce un bambino, subito pensano al battesimo, al rito, ma senza preparazione. Dobbiamo educare di più.

Per noi in Laos sono importanti anche le questioni legate ai matrimoni misti e alla disparità di culto. Ma la cosa che più mi fa felice in questa edizione del Sinodo è che non ci siamo dimenticati di un tema fondamentale: la poligamia.

Ci sono due tipi di poligamia: quella “contemporanea”, dell’avere diverse moglie nello stesso tempo; quella “conseguente” in cui si ha una moglie dopo l’altra. È qualcosa che è presente in molte culture africane e asiatiche. Il problema è quando uno di questi uomini poligamici diventa cattolico.  Di solito l’indicazione pastorale e che l’uomo scelga una delle mogli con cui vivere, ma aiutando economicamente le altre.  Del resto, dal punto di vista legale, tutti i figli e le mogli appartengono a lui. Questo crea disordini e povertà.

Ma c’è un altro aspetto: di solito, la nuova moglie si aggiunge alla famiglia con l’accordo della prima moglie. Se si convertono al cattolicesimo, il problema diventa che la decisione di avere un’altra moglie era stata presa da entrambi, di comune accordo… E la Chiesa deve chiedere di rompere il legame con la seconda… È una domanda che mi pongo: ne abbiamo il diritto?

Quale può essere il contributo della Chiesa laotiana al sinodo?

Quella laotiana è una Chiesa “bambina”, piccolissima.  In ogni caso in tante parti del Paese vi sono persone che si convertano, soprattutto fra i tribali della montagna. Cosa li spinge a diventare cattolici? Il fatto che essi sono animisti. La loro religione è molto costosa. Per ogni fatto che succede bisogna fare sacrifici animali di continuo e questo li rende poveri in poco tempo. Per questo cercano di abbandonare queste credenze al più presto.

Ad ogni modo, sono convinto che siamo all’inizio di un cambiamento e di una rinascita. Ora non ci sono più missionari stranieri e dobbiamo condurre la Chiesa con le nostre mani. Noi cerchiamo di fare quello che possiamo. Ad esempio per le vocazioni: dobbiamo farle crescere da zero.

Quando sono arrivato a Paksé avevo “un prete e mezzo”, uno attivo, un altro già in pensione e molto anziano. Ora dopo tanti anni di lavoro – 14 per la precisione - i preti sono sei. Con questi sacerdoti stiamo cominciando qualche esperienza di comunità ecclesiale di base.

Talvolta riesco a visitare il Vietnam e rimango stupito perché loro hanno il problema contrario: la difficoltà di educare perché hanno troppe vocazioni!

Nella diocesi di Vinh, ad esempio, hanno 170 seminaristi in seminario, ma vi sono molti che vorrebbero entrarvi. Purtroppo però la diocesi non ha le energie sufficienti – economiche e di personale – per farlo. Se riuscissero ad accogliere tutti, avrebbero 400 seminaristi!

La cosa bella è che abbiamo catechisti sposati che sono veri missionari, che vanno a vivere nei villaggi e diventano le “radici” dell’evangelizzazione. Vanno, vivono, cominciano a creare legami…

Proponiamo questa esperienza anche ai seminaristi. Gli studenti del seminario devono studiare tre anni, poi si devono fermare almeno per un anno, fino a tre anni, per maturare nella loro decisione, ma anche  per fare esperienze pastorali come catechisti, portando medicine, aiuti, preghiere per i popoli della montagna. Si integrano con gli abitanti del villaggio, simili a loro in tutto.

Adesso abbiamo 8 seminaristi maggiori. Sono molto dedicati alle persone, alle famiglie. Attraverso questa condivisione diamo il nostro contributo più importante, che è la fede.

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