15/09/2020, 13.59
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Washington: Israele, Emirati e l’Accordo di Abramo sulla pelle dei palestinesi

Oggi a mezzogiorno alla Casa Bianca in programma la firma del patto che sancisce relazioni diplomatiche. Uno spot elettorale per Trump e un punto per Netanyahu, in crisi in patria. Vantaggi reciproci in tema di tecnologia e risorse bancarie. Sullo sfondo i palestinesi, sempre più divisi e isolati. Limiti ai partecipanti a causa delle disposizioni anti-Covid-19.

Washington (AsiaNews) - Due attori protagonisti, Israele ed Emirati Arabi Uniti (con il Bahrain pronto a subentrare), ciascuno con il proprio tornaconto personale, e un regista, il padrone di casa e presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che regge la scena dalla prima linea. Dietro le quinte, relegati ai margini se non dimenticati, i palestinesi la cui flebile voce sembra avere sempre meno peso e attenzione nell’assise internazionale. È questo il palcoscenico allestito oggi alla Casa Bianca, a mezzogiorno ora locale, per la firma dello “storico patto” finalizzato alla normalizzazione dei rapporti e all’apertura di canali diplomatici e ribattezzato “Accordo di Abramo”. 

Oscurato in patria dall’emergenza coronavirus (Israele prima nazione al mondo a imporre per la seconda volta un lockdown), dal processo per corruzione, da proteste di piazza - ultima quella alla partenza per gli Usa - il premier Benjamin Netanyahu si gioca la carta internazionale. La firma di oggi a Washington rappresenta per gli esperti uno dei suoi maggiori successi, cui seguirà lo sventolio della bandiera con la stella di David sulle ambasciate ad Abu Dhabi e Manama. Lo stesso vale per gli stendardi degli Stati arabi a Tel Aviv o la possibilità per gli israeliani di ammirare dal loro aereo il territorio e le coste saudite nel loro viaggio verso est. 

Prima della firma, Netanyahu e Trump hanno in programma un incontro bilaterale; a seguire si terrà un mini-summit allargato ai ministri degli Esteri degli Emirati e del Bahrain, che avranno poi un momento dedicato per un faccia a faccia con l’inquilino della Casa Bianca. Certo, per Trump che siglerà l’accordo in qualità di “testimone” o di “osservatore” l’appuntamento di oggi dovrebbe rivelarsi un punto a favore in vista delle elezioni a novembre, con un distacco sempre più ridotto rispetto al rivale democratico Joe Biden. Un traguardo che il predecessore Barack Obama non ha potuto immaginare nemmeno da lontano, vista anche la crisi nei rapporti con Israele a fine mandato. 

Vantaggi reciproci ve ne sono anche per gli stessi firmatari: Israele ed Emirati. Analisti ed esperti sottolineano il potenziale combinato fra le tecnologie israeliane e il potere finanziario di Abu Dhabi che può aprire nuove vie in Medio oriente. Una marcia a doppio senso: oltre alla tecnologia israeliana e le risorse bancarie degli Emirati, in gioco vi sono anche i trasporti e la logistica rappresentati dall’hub di Dubai, il più frequentato al mondo per affari. Per molti non si tratta di un patto fra due potenze regionali, ma di un accordo a più ampi respiro fra player internazionali. E dopo il Bahrain altri ancora potrebbero seguire, a partire dall’Arabia Saudita nonostante l’opposizione della leadership che vuole prima l’accordo con i palestinesi. E, su questo punto, sarà interessante vedere se oggi Netanyahu toccherà l’argomento o illustrerà benefici e concessioni previste dalla normalizzazione dei rapporti diplomatici con le nazioni arabe, che potrebbero integrare o completare quanto previsto nel cosiddetto “Accordo del secolo” di Trump. 

Sullo sfondo, se non proprio dietro le quinte, restano i palestinesi che sembrano sempre più necessitare di una nuova leadership e di maggiore coesione interna per recitare un ruolo e ottenere benefici e concessioni nella diplomazia internazionale. Il tutto mentre le nazioni arabe, salvo rare eccezioni fra cui Algeria e Kuwait, sembrano sempre più guardare a Israele anche e soprattutto per una redistribuzione di potere e alleanze in chiave anti-iraniana nella regione mediorientale. 

Infine, la firma dell’accordo rappresenta un momento particolare in questa fase storica dominata dalla pandemia di nuovo coronavirus, che costringe gli organizzatori a diversi aggiustamenti: le centinaia di invitati saranno “incoraggiati” ad indossare mascherine e rispettare le distanze, ma la copertura di bocca e naso non sarà obbligatoria. La cerimonia si terrà inoltre nel White House South Lawn (il prato sud), più vasto e meglio attrezzato per contenere le circa 700 persone previste; un numero comunque inferiore e pari alla metà dei presenti, sempre nello stesso luogo, in occasione dell’accettazione della nomination per i repubblicani da parte di Trump delle scorse settimane.

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