29/01/2010, 00.00
CINA - VIETNAM
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Wei Jingsheng: Cina e Vietnam, giganti economici sull’orlo del cambiamento o del collasso

di Wei Jingsheng
Il grande dissidente cinese mette a confronto le due tigri dello sviluppo asiatico e lancia l’allarme: aumenta l’opposizione interna, ed è sempre più determinata. Anche l’occidente è disilluso: la sua politica tollerante verso le violazioni ai diritti umani, non ha portato a nulla, nemmeno a maggiori utili economici
Los Angeles (AsiaNews) – Wei Jingsheng, il “padre della democrazia” cinese, attacca duramente chi pensa che si possa ottenere uno sviluppo economico senza diritti dell’uomo. E, in un discorso al Simposio sui diritti umani e lo sviluppo della democrazia in Cina e Vietnam, traccia un interessante parallelo fra le due nazioni. Dominate da un regime a partito unico, sono entrambe in pieno sviluppo; ma l’assenza di voci contrastanti le porta inesorabilmente verso una rivoluzione sociale. Allo stesso tempo, il mondo capitalista, che ha cercato di assorbire entrambi nella catena della produzione, chiudendo gli occhi sui diritti umani violati, si trova nella presente crisi economica. Riportiamo di seguito il testo completo dell’intervento, pronunciato a Los Angeles la settimana scorsa.
 
Se vogliamo parlare del futuro sviluppo democratico di Cina e Vietnam dobbiamo fare un’analisi di entrambe le nazioni, così come dobbiamo capire lo sviluppo internazionale di entrambe. E quindi dobbiamo accettare e capire le condizioni dei due Paesi, che siano a noi favorevoli o sfavorevoli, per guidare le nostre azioni. La principale caratteristica sociale che accomuna Cina e Vietnam è che, nonostante entrambe si siano trasformati in Stati capitalisti con monopolio burocratico, sono in qualche modo diverse dalla Russia e dai Paesi dell’Europa orientale.
 
La differenza maggiore è che entrambe le nazioni asiatiche sono ancora sotto il dominio di una dittatura comunista a partito unico. Senza la competizione di un sistema multi-partitico, a entrambi i Paesi manca quello sviluppo più rilassato che permette discorsi e pubblicazioni libere; cosa che invece esiste in Russia e nei Paesi dell’est Europa. In Cina e Vietnam è molto difficile per l’opposizione sopravvivere all’interno dei Paesi, e quell’opposizione che invece se n’è andata trova molto complicato partecipare alla politica interna. Di conseguenza, questa situazione rappresenta un grande ostacolo per noi.
 
Le agenzie speciali del Partito comunista sono divenute molto efficienti. Separando [l’opposizione] interno ed esterno, piazzano i loro agenti, manipolano le nostre direttive, fomentano scontri e riescono perfino a far cadere l’opposizione nelle trappole che hanno piazzato. Questo rende molto difficile una trasformazione, o una rivoluzione, perché manca un’ opposizione unita, ben organizzata e ben pianificata. Nel momento attuale, la forma principale di opposizione viene dalla popolazione, che si muove in maniera autonoma, con azione de-centralizzate contro la tirannia e contro l’iper-sfruttamento  economico.
 
Gli strumenti di informazione di massa sono il principale strumento con cui mobilitare la popolazione. Le tradizionali organizzazioni sotterranee hanno infatti un raggio d’azione molto limitato, su scala ridotta. Una mobilitazione massiccia della popolazione può dipendere soltanto dagli strumenti di informazione di massa. Questo è il motivo per cui il regime comunista del Partito cinese presta così tanta attenzione a questi strumenti, e si impegna così tanto per bloccare le informazioni che arrivano sia dai mezzi di informazione che da internet.
 
Dall’altro lato, data la mancanza dei diritti umani di base, gli sforzi combinati del governo e dell’economia tesi a rinforzare la soppressione dei mezzi di informazione non fa altro che rafforzare l’opposizione. Per questo le forze di trasformazione di nazioni come Cina, Vietnam e Corea del Nord provengono per la maggior parte dalle classi sociali più basse e medie.
 
I mezzi con cui si intende ottenere questa trasformazione, però, non sono limitati soltanto a forme pacifiche. L’opposizione violenta diviene sempre più spesso il modo principale con cui le società vengono costrette al cambiamento. Infatti, data anche l’intima connessione fra rappresentanti del governo e del mondo economico, il governo ha perso la sua posizione di giudice sulle dispute economiche. Le lotte all’interno dei governi sono divenute sempre più violente, molto più che in ogni altro tempo o circostanza. Emerge sempre di più una connessione (quasi di routine) fra la criminalità e i militari, che rende la società sempre meno stabile e ancora più complicata.
 
Negli ultimi decenni, l’ambiente internazionale è stata sempre poco favorevole alle forze di opposizione di nazioni come Cina e Vietnam.  Il “modello Cina” inventato da Deng Xiaoping è stato in grado di attrarre gli investimenti e i capitalisti occidentali grazie a una forza lavoro a basso costo, e in questo modo Pechino è riuscita a controllare la politica e il mondo accademico occidentale. Tramite l’economia, infatti, la Cina ha costretto il mainstream occidentale ad arrendersi agli interessi del Partito comunista, svendendo il proprio sistema di valori. Come risultato, l’Occidente ha continuato a trasfondere sangue nelle nazioni comuniste, scegliendo una politica tollerante e indulgente verso i nuovi capitalisti-burocrati dei Partiti. Questa politica ha raggiunto il picco nel corso dei 16 anni di presidenza divisi fra Bill Clinton e George W. Bush. La relazione esistente fra le democrazie dell’Ovest e le dittature dell’Est si è trasformata nel tempo da un carattere di confronto a uno tollerante, di aperta cooperazione. Le forze di opposizione che vivono all’estero sono divenute delle travi negli occhi di queste nazioni democratiche. Per usare le parole di un notissimo ideologo della sinistra americana, “questi attivisti democratici e anti-comunisti non si sposano con l’ideologia primaria dell’America”.
 
Ad ogni modo, ora la situazione sta cambiando. Anche se la politica di distensione occupa ancora il pensiero primario, l’economia occidentale è in recessione proprio a causa delle sue “trasfusioni” nelle nazioni comuniste, durate più di un decennio.
 
La cosiddetta teoria dell’economia “di libero mercato” ha perso la propria battaglia contro l’economia “non libera” di mercato. Mentre gli industriali di Oriente e Occidente hanno fatto super-profitti, gli stipendiati dei due mondi non hanno ottenuto alcun beneficio dallo sviluppo economico. Invece di espandersi il mercato si è contratto, e questo è alla base della recessione. Così, le nazioni occidentali iniziano a capire questo errore storico e cominciano a prendere le misure atte a correggerlo. Dovrebbero abbandonare la politica di distensione con le nazioni comuniste e ricominciare a confrontarsi con esse, proprio a partire dal protezionismo del mercato.
Tale cambiamento di rotta è la condizione esterna che potrebbe forzare il nuovo sistema capitalista e burocratico dei Partiti comunisti a riformarsi, o collassare.
 
L’opposizione all’estero ha un nuovo compito, oltre a continuare a usare i media per mobilitare in maniera positiva la spinta verso la democrazia e la libertà. Questo nuovo scopo – cooperando con  la politica di protezione del mercato da parte delle nazioni democratiche - si opporrà all’ondata di nazionalismo che con certezza il Partito comunista mobiliterà.
Utilizzando il potere della società internazionale, potremmo spingere per le riforme del sistema di redistribuzione della ricchezza e per una rivoluzione politica nelle nostre nazioni. Questa battaglia commerciale non andrà a beneficio del capitalismo burocratico; andrà invece a fare del bene a quei lavoratori a stipendio e al capitale privato, gli strumenti migliori per evitare insurrezioni disordinate e promulgare una rivoluzione democratica.
 
In conclusione permettetemi di essere chiaro: se si ha uno sviluppo economico su base capitalista, ma non si hanno diritti di parola e di informazione, la cosiddetta “rivoluzione colorata pacifica e razionale” è soltanto un miraggio. Nella migliore delle ipotesi, è una fantasia bella ma irrealizzabile.
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