Rakhine: nuovi scontri fra birmani e Rohingya, tre morti e 300 case incendiate
Il focolaio di violenze concentrato nella cittadina di Min Bya, ma rischia di diffondersi in tutto lo Stato. È il primo episodio grave dagli scontri del giugno scorso. Scambio di accuse sulle responsabilità. Un gruppo di monaci buddisti chiede di denunciare chi “simpatizza” per i musulmani. E auspica la creazione di una sorta di “polizia morale”.

Yangon (AsiaNews/Agenzie) - Nuove tensioni nello Stato di Rakhine, nell'ovest del Myanmar, nei pressi del confine con il Bangladesh, teatro di uno scontro violento fra la maggioranza buddista birmana e la minoranza musulmana Rohingya. Nella notte del 21 ottobre sono divampati violenti scontri fra i due opposti schieramenti in diverse aree della cittadina di Min Bya, che sono poi proseguiti per la giornata di ieri. Il bilancio finale è di tre morti - di cui due donne musulmane - e di almeno 300 case bruciate in diversi villaggi della zona. È il primo episodio grave dal giugno scorso, quando le autorità hanno dichiarato lo stato di emergenza per fermare le violenze fra buddisti e musulmani, che hanno causato decine di morti.

Da settimane lo Stato Rakhine è teatro di focolai continui di tensione, mentre in tutto il Paese ha preso il via una feroce campagna contro la minoranza musulmana Rohingya, che parte dei birmani considerano etnia "straniera" e priva del diritto di cittadinanza. Anche il presidente "riformatore" Thein Sein e la leader dell'opposizione Aung San Suu Kyi non hanno sinora preso una posizione netta sulla vicenda, con la Nobel per la pace che chiede l'applicazione dello "Stato di diritto", ma non chiarisce sino in fondo se i Rohingya sono a pieno titolo cittadini del Myanmar.

Per tutta la giornata di ieri diverse abitazioni sono state date alle fiamme, in una escalation continua di violenze. Al momento non è chiaro il fatto che ha dato origine agli scontri, con musulmani e buddisti che si rimpallano le responsabilità. Ad agosto le autorità birmane hanno formato una commissione di inchiesta per verificare i fatti avvenuti nelle settimane precedenti, respingendo invece l'ipotesi di affidarsi alle valutazioni di una indagine operata da esperti delle Nazioni Unite. Fra l'altro Naypyidaw ha fermato e arrestato un gruppo di operatori umanitari appartenenti all'Onu e a organizzazioni internazionali pro diritti umani.

A giugno la Corte distrettuale di Kyaukphyu, nello Stato di Rakhine ha condannato a morte tre musulmani, ritenuti responsabili dello stupro e dell'uccisione a fine maggio di Thida Htwe, giovane buddista Arakanese, all'origine dei violenti scontri interconfessionali fra musulmani e buddisti (cfr. AsiaNews 19/06/2012 Rakhine, violenze etniche: tre condanne a morte per lo stupro-omicidio della donna). Nei giorni seguenti, una folla inferocita ha accusato alcuni musulmani uccidendone 10, del tutto estranei al fatto di sangue. La spirale di odio ha causato la morte di altre 29 persone, di cui 16 musulmani e 13 buddisti. Secondo le fonti ufficiali sono andate in fiamme almeno 2600 abitazioni, mentre centinaia i profughi Rohingya hanno cercato rifugio all'estero.

Il clima di tensione nell'area è confermato infine dagli appelli lanciati nelle ultime ore da un gruppo di monaci birmani dello Stato di Rakhine, che chiedono di colpire quanti fra i connazionali "simpatizzano" per i Rohingya, bollandoli come "traditori della patria". In un documento diffuso da Democratic Voice of Burma (Dvb), la All-Arakanese Monks' Solidarity Conference invita i locali a diffondere immagini di chi sostiene la minoranza musulmana, legittimando di fatto violenze personali e attacchi mirati che rischiano di acuire lo scontro. Il rapporto in dieci punti auspica infine la nascita di un comitato per la sicurezza presieduto dai monaci buddisti, chiamato ad assicurare il rispetto della legalità e della disciplina, oltre che "la diffusione della religione". Una sorta di polizia della morale, sulla falsariga dei corpi paramilitari presenti in molte nazioni islamiche, come Arabia Saudita o Iran.