Myanmar, la giunta contro l'Onu: Basta interferenze nei nostri affari interni
Nel mirino del governo birmano la rappresentante speciale Yanghee Lee, che ha sottolineato le discriminazioni contro i Rohingya e criticato la legge che regola matrimoni e conversioni. Dal ministero degli Esteri “l’invito” a svolgere il suo lavoro in modo “professionale e prudente”. Nelle scorse settimane la donna già oggetto di ingiurie da parte di un monaco buddista.

Yangon (AsiaNews/Agenzie) - Il governo del Myanmar ha accusato un alto funzionario delle Nazioni Unite di "interferenza" negli affari interni del Paese. Dietro la denuncia, avanzata dal ministero birmano degli Esteri, ci sono le parole pronunciate da Yanghee Lee (rappresentante speciale Onu per il Myanmar) durante la visita nella nazione asiatica il mese scorso.

Nel suo intervento la donna ha sottolineato le pesanti discriminazioni contro la minoranza musulmana Rohingya, vittima di persecuzioni e abusi nella ex Birmania. L'alto funzionario delle Nazioni Unite ha inoltre espresso forti critiche alla nuova legge, voluta con forza da un gruppo di monaci buddisti nazionalisti, che prevede grandi limiti ai matrimoni misti e alla libertà di conversione. 

Nei giorni successivi alla sua visita, un monaco buddista di primo piano - già famoso in passato per i suoi attacchi alla libertà religiosa e l'istigazione alla violenza - aveva usato pesanti appellativi nei suoi riguardi. Le parole del leader buddista hanno provocato la ferma reazione dell'Alto commissario Onu per i diritti umani Zeid Raad al-Hussein, che ha chiesto al governo di Naypyidaw parole di condannarle. 

Tuttavia, nel comunicato ufficiale il ministero birmano degli Esteri ha affermato che alcune delle preoccupazioni manifestate da Lee non riflettono "l'aspetto generale positivo di una questione". E ha aggiunto che, in certi casi, "è evidente" l'interferenza "su vicende che rientrano nella sovranità di uno Stato e nelle giurisdizione domestica". Il documento si conclude con l'invito rivolto alla rappresentante Onu di svolgere il proprio lavoro "in modo professionale e prudente", senza fare alcun riferimento alle ingiurie rivolte nei suoi confronti dal leader religioso. 

Dal giugno del 2012 lo Stato occidentale di Rakhine è teatro di scontri violentissimi fra buddisti birmani e Rohingya, che hanno causato almeno 200 morti e 250mila sfollati. Secondo stime delle Nazioni Unite in Myanmar - nazione a maggioranza buddista, con 50 milioni di abitanti - vi sono tuttora 1,3 milioni di appartenenti alla minoranza musulmana, che il governo considera immigrati irregolari e che per questo sono oggetto di abusi e persecuzioni