Il Pc cinese “non rinuncerà mai al diritto di scegliere il nuovo Dalai Lama”
Lo ha ribadito Zhu Weiqun, presidente della Commissione per gli affari etnici e religiosi di Pechino. Tenzin Gyatso non ha alcun diritto di interrompere la tradizione delle reincarnazioni. “La questione è politica. Il Dalai Lama ha il potere politico in Tibet e solo potendolo scegliere il governo centrale vincerà sui separatisti”.

Pechino (AsiaNews/Agenzie) – La Cina non rinuncerà mai al diritto di decidere sulle future reincarnazioni del Dalai Lama. Lo ha affermato ieri Zhu Weiqun, membro di primo piano del Partito comunista cinese, parlando all’agenzia statale Global Times e attirando le critiche dei gruppi per i diritti umani e del leader spirituale tibetano in esilio. Ancora una volta, ha detto il presidente della Commissione per gli affari etnici e religiosi, l’organismo politico ateo di Pechino ribadisce la ferma volontà di scegliere le reincarnazioni “di tutti i buddha viventi, così da garantire la vittoria nella battaglia anti-separatista” in Tibet.

Per difendersi dalle ingerenze di Pechino, l’attuale Dalai Lama, Tenzin Gyatso, ha più volte ripetuto che la continuità del titolo per reincarnazione non è automatica né necessaria alla salvaguardia della tradizione, affermando che lui stesso potrebbe essere l’ultimo essere umano a portare questo titolo. Secondo la Cina, invece, la tradizione della reincarnazione deve continuare e il Dalai Lama non ha alcun diritto di abbandonarla.

La ragione di questo, afferma Zhu Weiqun, è che il problema “non è mai stato solo di materia religiosa e non ha a che fare solo con i diritti individuali del Dalai Lama; è prima di tutto un’importante questione politica in Tibet e un’importante manifestazione della sovranità del governo centrale cinese in Tibet”. Essendo il Dalai Lama il primo leader politico del Tibet, continua Zhu, “chiunque abbia il titolo di Dalai Lama avrà il potere politico nella regione. Per questo motivo, a partire da molto tempo fa, il governo centrale non ha mai rinunciato, e mai rinuncerà, al diritto di decidere nella questione della reincarnazione del Dalai Lama”.

Il buddismo tibetano è ancora molto sentito e praticato in Tibet e nel resto del Paese, e la figura dell'attuale guida spirituale è molto amata nonostante egli sia stato costretto ad andare in esilio in India nel 1959. Il governo cinese cerca sin da allora di demolirne la statura, ma senza successo. Per cercare di mettere la situazione sotto controllo, nel 1995 ha spezzato la contiguità fra la figura del Dalai e quella del Panchen Lama ("numero 2" del lignaggio tibetano) rapendo il giovane individuato come legittimo XI Panchen proprio dall'attuale Dalai. Al suo posto ha messo un monaco fantoccio, e spera di fare lo stesso con il prossimo vertice della "setta dei berretti gialli".