04/08/2015, 00.00
TIBET – CINA
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Il Partito comunista “deciderà il prossimo Dalai Lama. Su questo non si discute”

Un “conclave” riunito a Pechino e guidato dal presidente Xi Jinping cerca di chiudere la “questione tibetana” e minaccia ritorsioni in caso di reincarnazioni “non autorizzate”. Il governo comunista vuole intervenire su scelte puramente religiose. difendendo tradizioni antiche, nate secoli prima della Repubblica popolare. Deputato tibetano: “Nella migliore delle ipotesi sono dichiarazioni ridicole”.

Pechino (AsiaNews) – Il governo centrale cinese e la sua autorità “sono sempre state importanti nel processo di reincarnazione del buddismo tibetano. I precedenti storici dimostrano in maniera chiara il ruolo vitale dell’esecutivo in questa area. Tutti i Dalai Lama hanno sempre chiesto l’approvazione di Pechino, che considera la questione importante dal punto di vista della sovranità e della sicurezza nazionale”. È il sunto di un incontro a porte chiuse della Commissione permanente del Politburo comunista, guidato dal presidente Xi Jinping e pubblicato dalla Xinhua, sulla “questione Tibet”. Nonostante sulla carta esso sia ateo e materialista, il Partito cerca di nuovo di interferire nelle questioni interne alle religioni.

Il “conclave” si è riunito il 30 luglio scorso nella capitale cinese. All’ordine del giorno soltanto il problema della prossima reincarnazione di Tenzin Gyatso, attuale 14esima emanazione di Avalokiteśvara (il Buddha della compassione) e Dalai Lama in carica. Il governo cinese ha discusso misure “necessarie alla stabilità della provincia” e ha preparato un piano “per contrastare il separatismo”.

Secondo una fonte anonima di AsiaNews, al termine dell’incontro lo stesso Xi Jinping avrebbe dichiarato che “è il Partito comunista che deciderà il prossimo Dalai Lama. Su questo non si discute. Se le cose non andassero così, siamo pronti a prendere le necessarie contromisure”.

Il buddismo tibetano è ancora molto sentito e praticato in Tibet e nel resto del Paese, e la figura dell'attuale guida spirituale è molto amata nonostante sia stato costretto ad andare in esilio in India nel 1959. Il governo cinese cerca sin da allora di demolirne la statura, ma senza successo. Per cercare di mettere la situazione sotto controllo, nel 1995 ha spezzato la contiguità fra la figura del Dalai e quella del Panchen Lama ("numero 2" del lignaggio tibetano) rapendo il giovane individuato come legittimo XI Panchen proprio dall'attuale Dalai. Al suo posto ha messo un monaco fantoccio, e spera di fare lo stesso con il prossimo vertice della "setta dei berretti gialli".

In base alla tradizione del buddismo tibetano, per riconoscere l'incarnazione di un "Buddha vivente" i monaci deputati all'incarico devono identificare un bambino che presenti dei segni mediante i quali possa essere identificato come la reincarnazione dell'ultima guida spirituale. I religiosi partono seguendo la direzione dell'ultimo sguardo del defunto e cercano segni soprannaturali riguardo i neonati e i bambini dell'area indicata. Una volta identificato un possibile erede, lo sottopongono a una serie di prove come il riconoscere gli oggetti appartenuti in vita dal predecessore. L'attuale Dalai Lama riconobbe immediatamente, in una stanza con migliaia di pantofole, quelle appartenute a chi lo aveva preceduto.

Un'altra tradizione, più recente ma comunque valida, aggiunge alla ricerca un rituale religioso complicato che può essere effettuato soltanto all'interno del Tempio dei Lama a Pechino. Qui si trova l'urna d'oro dalla quale vennero estratti i nomi delle reincarnazioni di alcuni fra i più importanti Buddha viventi degli ultimi tre secoli, dono di un imperatore manciù al Reggente tibetano. Basandosi su questa struttura, in teoria decaduta con la Rivoluzione maoista e la nascita della Repubblica popolare, ora la Cina avanza le sue richieste di controllare le prossime reincarnazioni.

Allo stesso modo, il governo centrale cerca di controllare la scelta e la nomina della gerarchia cattolica nel Paese. Pur trattandosi anche qui di una questione puramente religiosa – il Dalai Lama, così come i diversi pontefici eletti dopo la Rivoluzione maoista, hanno più volte chiarito di volere soltanto “autonomia religiosa” in Cina – Pechino continua nella sua campagna di ingerenze per “tenere sotto controllo” le religioni ma soprattutto le loro proprietà economiche e i loro fedeli.

Per frenare le ambizioni comuniste è intervenuto lo stesso Tenzin Gyatso. A un giornale giapponese ha sottolineato che l’attuale Dalai Lama "non sarà l'ultimo. Per individuare il successore non saranno usate le procedure legate alle profezie, perché la Cina potrebbe influire e questo non deve e non può avvenire. Penso più a un Conclave, simile a quello usato dalla Chiesa cattolica per eleggere il Papa, oppure a delle istruzioni scritte da leggere dopo la morte".

Karma Yeshi, deputato del Parlamento tibetano in esilio, dice al quotidiano Phayul: “Le dichiarazioni del governo cinese sulla questione sono ridicole, nella migliore delle ipotesi. Se guardiamo alla storia religiosa del buddismo tibetano, vediamo che non esiste alcun ‘sigillo’ da parte di Pechino. Se il loro riferimento invece è al patronato politico d’accordo, ci sono dei precedenti. Ma allora entrano in ballo tanti altri Paesi come la Mongolia e la Corea”.  

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