Yangon (AsiaNews/Agenzie) - Aung San Suu Kyi, leader dell'opposizione birmana, ha criticato con forza la legge introdotta di recente nello Stato di Rakhine, che prevede un programma di pianificazione familiare per i Rohingya. Accusata in passato di non prendere le difese della minoranza musulmana, per la prima volta la Nobel per la pace - a nome del suo partito, la Lega nazionale per la democrazia (Nld) - ha sottolineato che se confermato, il limite imposto dei due figli è "una palese violazione dei diritti umani". E ha aggiunto di essere contraria all'entrata in vigore della controversa norma, introdotta in un primo momento dalla precedente giunta militare e confermata dalle autorità di Rakhine "per contenere le violenze interconfessionali".
La misura, che si inserisce in un quadro di provvedimenti colti a colpire la poligamia e la crescita della minoranza, riguarderà il distretto di Maungdaw, nello Stato di Rakhine, che comprende le cittadine di Maungdaw e Buthidaung. Entrambe sorgono lungo il confine con il Bangladesh, in un'area abitata in gran parte da esponenti della minoranza musulmana Rohingya, il solo gruppo etnico per il quale varrà la "legge dei due figli".
Intervenendo a conclusione di un incontro della Nld a Yangon, la "Signora" ha dichiarato ai giornalisti di non poter confermare se la legge è già in vigore, ma ha aggiunto che è "illegale". "Si tratta di una norma discriminatoria - sottolinea - e non è affatto in linea con i diritti umani. E se vera, è in palese contrasto con la legge".
Aung San Suu Kyi non ha risparmiato critiche nemmeno al presidente "riformista" Thein Sein, alla guida del Paese dalla primavera del 2011 dopo decenni di dittatura militare feroce e sanguinaria. Il capo di Stato avrebbe compiuto pochi progressi nel campo della pace e dei diritti. Per questo chiede più forza, perché "solo il desiderio di cambiamento non è abbastanza". "Se vogliamo avere successo nel cammino di riforme - ha continuato - quanti sono coinvolti nel processo, tutti, devono cambiare. I rappresentanti etnici delle minoranze nella Nld affermano che sino a quando vi sarà disparità di trattamento fra razze in Birmania, non vi potrà mai essere una vera pace".
Dal giugno dello scorso anno la zona è teatro di scontri violentissimi fra buddisti birmani e musulmani Rohingya (800mila circa in tutto il Myanmar), che hanno causato almeno 200 morti e 140mila sfollati. Per il movimento attivista con base negli Stati Uniti Human Rights Watch (Hrw) nella zona è in atto una vera e propria "pulizia etnica" dal parte delle autorità; alcuni esperti di politica birmana ipotizzano che alla radice della tensione non vi siano motivi di carattere etnico-religioso, quanto ragioni di carattere economico. Nella zona sarebbero infatti racchiusi nel sottosuolo - e ancora inesplorati - vasti giacimenti di petrolio e gas naturale, oltre a progetti già avviati come l'oleodotto sino-birmano, che parte dallo snodo portuale di Kyaukphyu e termina a Kunming.