Pechino (AsiaNews) - A Pechino si sta per varare la riforma democratica di Hong Kong secondo il volere del Partito. A Hong Kong i democratici promettono di bloccarla al parlamento.
Ieri in tarda serata la Xinhua ha diffuso la notizia che il 31 agosto il Comitato permanente dell'Assemblea nazionale del popolo (Anp) voterà la bozza (preparata da Pechino) sul nuovo metodo elettivo del capo dell'esecutivo di Hong Kong. I membri del parlamento cinese - bollato spesso come un luogo che approva tutto quanto il Politburo prepara - hanno apprezzato la bozza preparata, "conforme alle realtà di Hong Kong".
La bozza prevede per il 2017 il suffragio universale, ma i candidati in lizza per la carica di governatore dovranno essere scelti da un comitato di 1200 membri, costituito da persone scelte da Pechino e dall'esecutivo locale, oltre che da rappresentanti del mondo del business.
Il movimento Occupy Central e i partiti democratici del territorio hanno già a più riprese criticato questa struttura, che concede un enorme potere di veto nelle mani di Pechino e hanno promesso manifestazioni e sit-in giganteschi, seppure non violenti.
Diverse personalità della Cina hanno difeso il loro governo, dicendo che esso deve essere sicuro che i futuri governatori di Hong Kong devono essere "patriottici" e non opposti al potere centrale. Ieri, il decano della facoltà di legge dell'università Qinghua, il prof. Wang Zhenmin ha difeso la bozza perché essa permette al mondo del business di salvaguardare i loro interessi, dato che le elezioni non sono soltanto un "tema politico", ma anche di "interessi economici".
Il percorso della bozza si prevede accidentato. Dopo l'approvazione all'Anp, essa dovrebbe essere approvata dal Legco (il parlamento di Hong Kong), ma per avere la maggioranza, la parte pro-Pechino ha bisogno di almeno quattro voti dell'opposizione democratica. I democratici, anche quelli più aperti al dialogo, hanno già detto che non appoggeranno la bozza in questione.
Un'imposizione della nuova struttura rischia di scatenare tensioni sociali.
La Chiesa cattolica, pur esortando al dialogo, sostiene la disobbedienza civile non violenta se le proposte violano i principi dei diritti umani.