L’Afghanistan sprofonda nella violenza: media in lutto per i nove giornalisti uccisi

Il 30 aprile, due attentati gemelli a Kabul hanno ucciso decine di persone. Il secondo terrorista si era travestito da reporter per farsi saltare fra i giornalisti giunti sul luogo. 


Kabul (AsiaNews/Agenzie) – “I segni della guerra sono quasi scomparsi, ma non c’è più speranza”. È quanto scriveva sulle violenze in Afghanistan già due anni fa Shah Marai Faizi, uno dei nove giornalisti uccisi il 30 aprile da un attacco rivendicato dall’Isis, nel più feroce attentato sferrato contro la stampa afghana sin dalla caduta dei talebani nel 2001. I media afghani si sono raccolti oggi, Giornata mondiale per la libertà di stampa, per commemorare reporter e fotografi afghani uccisi. Diverse le testimonianze di dolore dei colleghi – molti legati da amicizia – e le critiche al governo, incapace di proteggere i suoi civili e media.

In tutto, decine di persone sono state uccise nei due attacchi gemelli condotti nella capitale. Come in occasione di ogni atto terrorista, i reporter arrivano sul luogo dell’esplosione, dove sono morte quattro persone. Non passano che 40 minuti, quando un secondo terrorista camuffato da reporter si fa saltare in aria fra i giornalisti, uccidendo 25 persone.

L’Afghanistan sprofonda sempre più nella violenza, stretto nella morsa dei talebani – che il 25 aprile hanno annunciato una nuova “offensiva primaverile” contro gli Usa e il governo afghano – e dell’Isis, i cui attentati prendono di mira la minoranza sciita. Secondo Candace Rondeaux, ex-corrispondente a Kabul per il Washington Post, ora professoressa dell’Università statale dell’Arizona, i terroristi mirano ai giornalisti per instillare “paura e intimidazione” e contrastare il voto previsto per il prossimo ottobre. In questa stessa ottica si inquadra l’attacco del 22 aprile, in cui sono morte almeno 57 persone, in fila per ritirare la carta d’identità.

Per la professoressa, le autorità afghane falliscono nel proteggere i civili e i media perché “non riescono ad arginare la corruzione. [Gli attentatori] scivolano attraverso le barriere, le frontiere, nove volte su dieci, con la libera assistenza delle forze di sicurezza che possono essere corrotte per guardare dall’altra parte”.