Dhaka, quasi 5mila operai del tessile licenziati dopo gli scioperi

Per diverse settimane i dipendenti delle industrie manifatturiere hanno manifestato per l’aumento salariale. Nel Paese esiste un continuo braccio di ferro tra industriali e lavoratori. Il settore muove un indotto di 30 miliardi di dollari; almeno 4,1 milioni gli impiegati.


Dhaka (AsiaNews) – In Bangladesh quasi 5mila lavoratori del settore tessile sono stati licenziati per aver partecipato agli scioperi che per settimane hanno bloccato un’industria del valore annuale di 30 miliardi di dollari. Lo confermano fonti della polizia bengalese, secondo cui i licenziati sono accusati di furto e atti vandalici. Al contrario, i sindacati accusano le aziende d’intimidazione nei confronti degli operai. Ad AsiaNews una fonte locale, che chiede l’anonimato, afferma: “Quella tessile è l’industria più significativa del Paese. Qui è sempre un compromesso tra lo sfruttamento selvaggio e la richiesta di maggiori stipendi che però è incompatibile con la competitività rispetto alla Cina e all’India”.

Le manifestazioni si sono protratte per settimane nelle strade del “triangolo tessile” (Dhaka, Savar e Gazipur). Negli scontri con la polizia è morto un ragazzo e 50 persone sono rimaste ferite. “Tutt’ora – dice la fonte – ci sono continue manifestazioni, che però non vengono nemmeno riportate negli organi di stampa”.

I dipendenti delle industrie manifatturiere protestavano per gli aumenti salariali concessi ai neo-assunti. Con una decisione entrata in vigore a fine dicembre, lo stipendio mensile saliva da 5.300 a 8mila taka (da 52 a 82 euro) per i dipendenti del 7mo livello, mentre per i lavoratori con un’anzianità di 7-8 anni l’aumento era solo di 500 taka (cinque euro). A metà gennaio i proprietari d’industria hanno concesso lo stesso aumento a tutti i tipi di contratto.

Al rientro a lavoro però, la sorpresa: diversi posti sono stati eliminati. Secondo i sindacati, una sola azienda ha tagliato 1.200 dipendenti. Per le rappresentanze, i contratti strappati sarebbero ancora più alti, fino a 7mila. Dalla parte delle aziende, il fatto che le perdite siano state notevoli: un solo impianto di Savar che ha 6mila dipendenti riporta di aver perso 24mila capi al giorno.

La fonte spiega che il Bangladesh “non produce materie prime, ma le trasforma e poi le esporta. Perciò per rimanere competitivo a livello asiatico e mondiale, deve necessariamente mantenere bassi gli stipendi. Si tratta di un equilibrio che va continuamente ritrovato, in un contesto che di certo favorisce gli abusi da parte delle aziende”.

Con la schiacciante rielezione della premier Sheikh Hasina, continua, “sembrava possibile un aumento degli stipendi, mentre tale aumento è considerato insufficiente da molti. Ormai ci siamo quasi abituati a questo tira e molla tra lavoratori e industriali, con infiltrazioni politiche e sindacali”.  La fonte racconta che “ci sono state tante violenze e ci si aspetta che con un governo forte come quello attuale, esse non verranno tollerate. Allo stesso tempo, alla Hasina non conviene portare avanti questo braccio di ferro in un momento di così grande popolarità”. È difficile, conclude, “che i lavoratori che si sono resi protagonisti di atti di vandalismo possano essere riammessi nei luoghi di lavoro. C’è una tale domanda d’impiego che è facile per il datore di lavoro trovare dei sostituti”.

In Bangladesh il settore tessile, e in particolare la produzione destinata al confezionamento di capi da esportazione, rappresenta un cardine per l’economia. Il Paese è il secondo al mondo per esportazioni di vestiario dopo la Cina. Sul territorio esistono almeno 4.500 industrie che impiegano 4,1 milioni di lavoratori. Qui si trovano le fabbriche di grandi marchi occidentali – sia del lusso che “low-cost” – del calibro di H&M, Zara, Walmart, Tesco, Kappa, Tommy Hilfiger e Calvin Klein. Il settore impiega soprattutto donne ed è scarsamente regolato da norme. Sono frequenti gli incidenti sul lavoro, come il crollo nel 2013 del complesso del Rana Plaza a Savar, nel quale sono rimaste uccise oltre 1.300 persone.