Teheran: protestava contro il velo obbligatorio, attivista condannata a un anno di carcere

Vida Movahedi era stata arrestata lo scorso mese di ottobre per essersi mostrata con il capo scoperto nella centrale piazza di Enghelab. Fra i capi di accusa “aver fomentato la corruzione e la dissolutezza” dei costumi. La sentenza è del 2 marzo scorso ma la notizia è emersa solo in questi giorni. La donna rivendica la battaglia sotto forma di “rivolta civica”. 


Teheran (AsiaNews/Agenzie) - Un tribunale iraniano ha condannato a un anno di prigione una donna che si era opposta, in pubblico, all’obbligo di indossare il velo, tema controverso che ha scatenato nei mesi scorsi proteste di piazza represse con la forza e arresti da Teheran. È quanto ha affermato ieri l’avvocato di Vida Movahedi, arrestata lo scorso mese di ottobre per essersi mostrata con il capo scoperto (nella foto) nella centrale piazza di Enghelab [Rivoluzione, in persiano], agitando col braccio l’hijab e alcuni palloncini rossi. 

Secondo quanto riferisce l’avvocato Payam Dérafchane, l’attivista è stata condannata per “aver fomentato la corruzione e la dissolutezza” dei costumi. La sentenza risale al 2 marzo scorso, ma la sua pubblicazione - rilanciata anche dall’agenzia di Stato Irna - è avvenuta in questi ultimi giorni.

Movahedi, madre di una bambina di due anni, aveva già promosso proteste pubbliche alla fine di dicembre del 2017 nel centro di Teheran, diventando il volto e il simbolo della lotta contro il velo obbligatorio repressa con la forza. E come decine di altre donne era finita nella rete delle autorità, che ne avevano disposto l’arresto. 

Durante il processo l’attivista ha dichiarato al giudice di essere “contraria al velo islamico obbligatorio” e che ha voluto esprimere la propria opinione sotto forma di una “rivolta civica”. Secondo alcune fonti, la donna potrebbe beneficiare di un rilascio dietro cauzione ma finora le autorità non hanno voluto concedere il nulla osta al provvedimento.

Il velo è diventato obbligatorio in Iran in seguito all’ascesa al potere degli ayatollah con la Rivoluzione islamica del 1979. La lotta contro la norma che ne impone l’obbligo non è un fenomeno recente, ma dall’inizio dello scorso anno il movimento è cresciuto e ha acquisito sempre maggiore vigore e visibilità.

Con video in rete e appelli, gli attivisti incoraggiano le donne a rimuovere l’hijab e postare sui social il gesto di protesta. In risposta alle manifestazioni, nel gennaio il vice-presidente del Parlamento aveva aperto a un possibile referendum ma finora non vi sono state proposte ufficiali.