Hong Kong, Jimmy Lai resta in carcere

La Corte finale di appello si è presa del tempo per decidere sulla libertà su cauzione. Il card. Zen in fila per assistere all’udienza. Accusa: niente scarcerazione per casi di sicurezza nazionale. Difesa: Rispettare la presunzione d’innocenza. Prime domande per trasferirsi nel Regno Unito. Già in 7mila fuggiti a causa della repressione.


Hong Kong (AsiaNews) – Jimmy Lai rimane per il momento in prigione. La Corte finale di appello si è presa oggi del tempo per decidere sulla richiesta di scarcerazione presentata dal magnate filo-democratico. Il 23 dicembre l’Alta corte ne aveva ordinato la liberazione su cauzione, concedendogli gli arresti domiciliari. Un tribunale intermedio ha ribaltato la decisione il 31 dicembre su richiesta del dipartimento di Giustizia. Una cinquantina di giornalisti e un centinaio di cittadini, compreso il card. Joseph Zen, hanno fatto la fila per assistere all’udienza. Ad alcuni diplomatici stranieri è stato precluso l’ingresso in aula.

Il 73enne proprietario del quotidiano Apple Daily – voce critica della leadership cittadina e di Pechino – è accusato di “collusione” con forze straniere, reato previsto dalla legge sulla sicurezza nazionale voluta dalle autorità della madrepatria. La procura ha formulato l’imputazione per le interviste che Lai ha concesso a giornali di altri Paesi. Nel mirino vi è anche il suo presunto invito ai governi stranieri di sanzionare i leader di Hong Kong per le loro azioni contro il movimento democratico.

Il tycoon era già finito in prigione il 3 dicembre con l’accusa di frode; parte dei giorni di detenzione li ha scontati in un carcere di massima sicurezza dove sono incarcerati gangster e capi della malavita locale. L’inizio del processo è previsto per il 16 aprile: egli rischia l’ergastolo.

Tre dei cinque giudici della Corte finale d’appello sono stati selezionati dal capo dell’esecutivo Carrie Lam. Per l’accusa, i reati che minacciano la sicurezza nazionale non prevedono la concessione della libertà su cauzione. Una posizione contestata dal legale di Lai, secondo cui nella sua decisione la corte deve tenere conto di principi generali come la presunzione d’innocenza e il diritto di libertà.

Secondo l’Alta corte, la libertà su cauzione era giustificata perché in apparenza Lai ha espresso la propria opinione e non ha formulato richieste a governi stranieri; vi erano inoltre validi motivi per credere che egli non avrebbe violato i termini della scarcerazione. Essa prevedeva l’obbligo di dimora nella propria abitazione, il divieto di rilasciare interviste, usare i social media e incontrare personalità politiche e diplomatiche straniere.

L’adozione della legge sulla sicurezza in giugno ha assestato un duro colpo al movimento democratico. Esso vede restringersi sempre più gli spazi di libertà che dovrebbero essere garantiti in base alla Basic Law (la mini-Costituzione locale) e agli accordi con il Regno Unito. Londra ha restituito la città a Pechino nel 1997; i cinesi si sono impegnati a riconoscere una larga autonomia a Hong Kong fino al 2047 nel rispetto del principio “un Paese, due sistemi”.

Per aiutare i cittadini di Hong Kong che temono di perdere le proprie libertà democratiche, da ieri Londra permette ai possessori del passaporto nazionale estero britannico di presentare domanda per vivere e lavorare in Gran Bretagna. Ne possono beneficiare circa 2,9 milioni di abitanti della città, più 2,3 milioni di persone a loro carico. Da luglio già 7mila residenti hanno abbandonato Hong Kong per trasferirsi nel Regno Unito. Le autorità britanniche si aspettano di ricevere 154mila domande quest’anno; 322mila nei prossimi cinque anni. Pechino e l’esecutivo locale hanno definito la mossa di Londra una grave “intromissione” negli affari interni del Paese.