Hong Kong, proteste del 2019: fino a 16 mesi di prigione per 7 attivisti pro-democrazia

Tutti accusati di aver organizzato e preso parte a una manifestazione vietata. Sei dei condannati sono già in cella. Lega dei socialdemocratici: fino a poco tempo fa per questi reati si comminavano multe. Carrie Lam: non vi è repressione. Per i critici i fatti raccontano un’altra storia.


Hong Kong (AsiaNews) – La corte distrettuale cittadina ha condannato oggi sette attivisti democratici a una pena tra gli 11 e i 16 mesi di prigione. La giudice Amanda Woodcock li ha ritenuti colpevoli di aver organizzato e preso parte a un corteo non autorizzato il 20 ottobre 2019, nel pieno delle proteste anti-governative del fronte democratico. Alla dimostrazione avevano partecipato migliaia di persone.

La condanna ha colpito gli ex parlamentari Cyd Ho, Albert Ho, Yeung Sum e “capelli lunghi” Leung Kwok-hung; verdetto di colpevolezza anche per Avery Ng e Raphael Wong della Lega dei socialdemocratici (Lsd), e Figo Chan, coordinatore del Civil Human Rights Front. Tutti si erano dichiarati colpevoli. A parte Wong, gli altri sei imputati sono già in carcere per altre condanne. La Corte ha stabilito che le pene per loro non saranno cumulative.

Nel pronunciare il verdetto, Woodcock ha spiegato che la Basic Law (la mini-Costituzione di Hong Kong) e la Carta dei diritti garantiscono ai cittadini libertà di riunione, manifestazione e protesta. La giudice ha sottolineato però che queste prerogative non sono assolute, ma soggette a restrizioni “nell’interesse dell’ordine pubblico”. L’accusa principale nei confronti dei condannati è di non aver preso misure per evitare disordini nel corso della dimostrazione.

Davanti al tribunale, quattro esponenti della Lsd hanno esposto una striscione con la scritta “le dimostrazioni pacifiche sono innocenti, vergogna per la persecuzione politica”. Come riporta Hong Kong Free Press, gli attivi socialdemocratici fanno notare che le condanne per le manifestazioni non autorizzate sono diventate più pesanti: prima si limitavano a una multa o a un periodo di servizi sociali.

In un comunicato stampa, Avery Ng critica la continua “reinterpretazione” delle regole esistenti. Egli si domanda se esse servono a proteggere le libertà dei cittadini o “il potere di chi è già potente”.

Ieri Carrie Lam ha respinto le accuse secondo cui l’esecutivo da lei guidato usa la legge sulla sicurezza nazionale per reprimere la società civile. Per i critici, i fatti raccontano un’altra storia. Dal varo del draconiano provvedimento voluto da Pechino 14 mesi fa, la polizia ha arrestato 143 persone considerate una minaccia per la sicurezza nazionale; 84 di esse sono state incriminate. Le autorità hanno forzato la chiusura di Apple Daily, quotidiano pro-democrazia fondato dal magnate cattolico Jimmy Lai, agli arresti da mesi. Initium, un’altra pubblicazione indipendente, ha spostato la propria sede a Singapore.

Finite nel mirino del governo, organizzazioni storiche come l’Unione degli insegnanti e il Civil Human Rights Front si sono sciolte di recente. La prima era il più grande sindacato cittadino di settore, la seconda la principale coalizione democratica.

Sono arrivate anche incriminazioni per leader studenteschi, accusati di fomentare il terrorismo. Nel Legco, il Parlamento cittadino, ora siede solo un rappresentate non allineato con Pechino. Voci libere come il giornalista Steve Vines e l’artista Kacey Wong sono fuggite dalla città.