Riyadh, 34 anni di carcere a studentessa per un tweet. Record di esecuzioni

Salma al-Shehab è stata arrestata nel gennaio 2021, di rientro nel Paese, per aver condiviso post pro democrazia. La giovane è accusata di disturbo dell’ordine pubblico e diffusione di “voci false”. Nel 2022 schizza il numero di persone messe a morte, nei primi sei mesi già 120. Attivisti temono il superamento delle 186 esecuzioni - numero record - avvenute nel 2019. 


Riyadh (AsiaNews) - Le autorità saudite hanno condannato una giovane a 34 anni di galera, per aver rilanciato sul proprio account Twitter messaggi di attivisti che invocano maggiori libertà e aver condiviso post a favore del diritto delle donne a guidare. Dottoranda all’università di Leeds - lo stesso ateneo è intervenuto manifestando “profonda preoccupazione” per la vicenda - Salma al-Shehab (nella foto) è stata arrestata nel gennaio 2021 di rientro in Arabia Saudita per una breve vacanza. In questi giorni la sentenza, che alimenta il tema di diritti e libertà nel Paese, a dispetto dei proclami “riformisti” di Mohammad bin Salman (Mbs). 

Fonti vicine alla vicenda spiegano che la studentessa, prima di tornare nel Paese di origine, aveva manifestato il desiderio di riforme in Arabia Saudita e il rilascio degli attivisti rinchiusi in carcere. Gruppi pro diritti umani parlano di “sentenza dura” che smentisce i proclami delle autorità di Riyadh, secondo cui la situazione di diritti e libertà nel regno è in continuo miglioramento. Ad emettere la condanna un tribunale dell’antiterrorismo, che ha ritenuto Shebab responsabile di aver fomentato il dissenso per “disturbare l’ordine pubblico” e per aver alimentato “voci false”. 

Associazioni pro diritti umani sottolineano che si tratta “della più lunga condanna al carcere” mai comminata nei confronti di un “attivista pacifico”. La giovane appartiene alla minoranza sciita, in una nazione a larghissima maggioranza sunnita, e si racconta sui social come igienista dentale ed educatrice. Il suo account Instagram - che conta 2700 followers - non è aggiornato dal 12 gennaio 2021, tre giorni prima della data del presunto arresto in Arabia Saudita. Oltre ai 34 anni di prigione, al momento del rilascio non potrà per altri 34 anni lasciare il Paese o viaggiare all’estero. 

Oltre a comminare pesanti condanne ad attivisti e personalità della società civile, Riyadh nell’ultimo anno ha armato con decisione la mano del boia facendo schizzare il numero delle esecuzioni. Secondo i dati della Saudi Organization for Human Rights (Esohr), il regno wahhabita potrebbe superare il numero record di condanne capitali (186 in totale) eseguite nel 2019. Nella prima metà del 2022, infatti, le esecuzioni hanno toccato quota 120, un dato già superiore di quasi il doppio rispetto alle 65 registrate lo scorso anno, in cui la pandemia di Covid-19 ne aveva almeno in parte limitato il numero. 

Le statistiche smentiscono la versione ufficiale delle autorità, che si erano impegnate a limitare il numero delle esecuzioni. Inoltre, in molti casi la pena capitale viene comminata anche per questioni relative a proteste pro diritti e alla libertà di espressione. Nel mirino del gruppo attivista Esohr anche le modalità secondo cui vengono svolti i processi, con uso diffuso della tortura e il mancato accesso alla tutela legale prima dell’inizio delle udienze. Nel marzo scorso Riyadh ha eseguito una esecuzione di massa giustiziando 81 persone in un solo giorno, un numero record anche per uno Stato in cui l’utilizzo della pena di morte è assai diffuso. Di questi, la metà (41 in totale) erano membri della minoranza sciita.