I vescovi coreani: stop alla chiusura degli istituti per i disabili

La Caritas e la commissione sociale della Conferenza episcopale in un documento diffuso oggi denunciano l'abbandono in cui sono lasciate le famiglie. Citati anche casi di portatori di handicap morti dopo che la struttura in cui vivevano è stata chiusa. L'accusa al presidente Yoon: nonostante le promesse in campagna elettorale ha solo cambiato nome a questa "sperimentazione sociale". 


Seoul (AsiaNews) - La chiusura degli istituti non sta affatto promuovendo il benessere delle persone disabili. Al contrario: i suoi risultati sono fallimentari, al punto che alcune persone sono morte in stato di abbandono. A denunciarlo è la Chiesa cattolica coreana in un documento intitolato “Dio è aore” diffuso oggi dalla Caritas e dalla Commissione per le questioni sociali della Conferenza episcopale, in cui viene chiesto al presidente Yoon Suk Yeol di tenere fede all’impegno di interrompere questa “sperimentazione sociale” avviata nel novembre 2021.

La politica della “deistituzionalizzazione” nasce dal rifiuto dell’idea delle grandi strutture residenziali per i disabili costruite nel Paese negli anni 70 e 80 e che tuttora ospitano più di 20mila persone. Se il principio è condivisibile, nelle famiglie dei disabili è però forte il timore che questa strada - anziché essere realmente una forma di rispetto della dignità delle persone più fragili - si riveli una ricetta ideologica, che senza percorsi alternativi adeguati finirà per abbandonare anziché assistere nella maniera migliore i più fragili.

Ed è proprio quanto secondo la Chiesa cattolica coreana sta succedendo nei progetti pilota avviati in questo senso negli ultimi tre anni. Nel documento viene citata in particolare un’indagine condotta dal governo metropolitano di Seoul secondo cui solo 700 persone su circa 1.200 sono state in grado di confermare la propria residenza. Delle 487 persone effettivamente intervistate, solo 281 si trovavano nelle loro case. E 24 disabili risultano addirittura essere morti.

“Ascoltando le silenziose grida di sofferenza e di fronte persino alla perdita di vite umane a causa di questa politica - afferma il documento - la Chiesa cattolica coreana in questi tre anni ha consegnato alla nazione una forte volontà e una serie di proposte elaborate insieme alle persone con disabilità, ai loro genitori, a nazionali e stranieri in materia di assistenza sociale”. Il presidente Yoon - viene ricordato – in campagna elettorale aveva promesso di eliminare questa politica. “Tuttavia, il ministero della Salute e del Welfare si è rifiutato di valutare il progetto pilota e di condurre un'indagine a livello nazionale. Nonostante i risultati fallimentare ha esteso il progetto a livello nazionale, cambiandogli solamente il nome”.

Il documento esprime particolare preoccupazione per le persone con disabilità grave che sono state sgomberate con la forza dalle strutture. “Dovremmo chiederci: chi sono di preciso e dove e come vivono oggi? Invece in Corea del Sud sono diventati disabili anonimi, abbandonati dalla società e dalla comunità”.

Contrariamente a quanto pretende di affermare - denuncia ancora il testo - questa politica non promuove affatto i diritti delle persone disabili. “L'articolo 3 della Dichiarazione Universale dei Diritti umani - ricorda il documento della Chiesa coreana - afferma che: ‘Ogni persona ha diritto alla libertà e alla sicurezza della vita e del corpo’. L'articolo 10 della Convenzione delle Nazioni Unite sulle persone con disabilità afferma che “gli Stati sono tenuti a garantire che le persone con disabilità possano effettivamente godere di questi diritti su una base di uguaglianza con gli altri”.

“In accordo con Gesù Cristo e con la sua cultura dell'amore, la Chiesa cattolica in Corea camminerà sempre con gli emarginati riaffermando la scelta preferenziale per i poveri”. Per questo - continua il documento - i vescovi coreani “piegano le mani in preghiera e fanno appello alla nazione e al suo popolo”.

In concreto vengono avanzate cinque richieste: innanzi tutto “bloccare immediatamente la politica di chiusura degli istituti e avviare un'indagine completa su scala nazionale, condotta da un'agenzia statale credibile e dal settore privato, i cui risultati siano resi pubblici”. In secondo luogo varare “misure di protezione e risarcimenti” per le persone disabili che sono state danneggiate. Terzo: far sì che gli individui e le organizzazioni “coinvolte in queste politiche fallimentari siano tenute fuori in modo permanente dall’elaborazione di progetti per i diritti umani e dall'assistenza alle persone con disabilità”.

Quarto: promuovere con impegni credibili la partecipazione di tutti i cittadini ai sistemi di tutela per le persone disabili. Infine la Chiesa cattolica chiede di adoperarsi piuttosto per migliorare ”la professionalità e la stabilità delle istituzioni specializzate, dei medici e degli operatori che seguono quotidianamente i disabili”.

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