Punjab: prosciolto in appello un cristiano condannato a morte per blasfemia
di Jibran Khan
Dopo Rimsha Masih, la comunità festeggia la liberazione di Barkat Masih, da 18 mesi in carcere. Egli era stato incriminato con false accuse, per aver adempiuto al proprio lavoro. La gioia di attivisti e associazioni pro diritti umani: un altro “precedente importante”. Sacerdote pakistano: è ora di rivedere le leggi e prevenire gli abusi.

Islamabad (AsiaNews) - Dopo la giovane Rimsha Masih, la comunità cristiana pakistana può festeggiare il proscioglimento in appello di un uomo condannato a morte - senza prove e in base ad accuse pretestuose - in primo grado per blasfemia. Il verdetto potrebbe restituire nuovo vigore e speranza alle altre vittime della "Legge nera", fra cui la 46enne e madre di cinque figli Asia Bibi ancora in attesa del secondo grado di giudizio. In molti, infatti, auspicano una "revisione" della norma, che viene spesso usata per dirimere contrasti e controversie personali e che ha giustificato - a livello ideologico - l'efferato assassinio del ministro cattolico per le Minoranze Shahbaz Bhatti e del governatore del Punjab Salman Taseer nel 2011.

Barkat Masih, 56 anni (nella foto), è nato da una famiglia indù ma si è convertito al cristianesimo; originario della città di Bahawalpur, nella provincia del Punjab, è stato coinvolto (sebbene innocente) in un caso di blasfemia il primo ottobre del 2011, ricevendo in primo grado la condanna alla pena capitale.

Fonti locali raccontano che l'uomo, guardiano di professione, è finito nel mezzo di una disputa fra lavoratori, che volevano occupare senza averne diritto una porzione di terra. Egli ha impedito l'ingresso in un ufficio, dove erano conservati i documenti di proprietà, per mantenere fede al compito assegnato. Al rifiuto opposto dal custode, due operai musulmani - Muhammad Saleem e Muhammad Shoaib - lo hanno insultato e minacciato, promettendogli di "fargliela pagare".

Essi hanno presentato denuncia alle forze dell'ordine, che hanno eseguito l'arresto a carico di Barkat Masih per insulti al profeta Maometto, una colpa che può condurre alla condanna a morte in base all'articolo 295 C del Codice penale pakistano. Tuttavia, dopo aver trascorso 18 mesi in carcere, lo scorso 28 gennaio il giudice Javed Ahmed dell'Alta corte di Bahawalpur ha accolto il ricorso in appello e prosciolto l'imputato perché il fatto non sussiste.

Attivisti per i diritti umani e leader cristiani sono soddisfatti per la sentenza, un segnale positivo anche per molti casi analoghi in futuro. L'ong World Vision In Progress, che ha sostenuto la difesa dell'uomo, è felice per il verdetto e parla di "inizio di un cambiamento". Haroon Barkat Masih, presidente della Masihi Foundation, ricorda che le leggi sulla blasfemia sono sfruttate per "colpire le comunità emarginate" e che un'accusa "equivale a una condanna a morte". Per questo egli auspica che il caso sia un "precedente" importante e che alla norma vengano fatte le "opportune modifiche". Infine p. Nawaz George, sacerdote della diocesi di Lahore e impegnato nella difesa dei diritti dei cristiani, si dice "entusiasta" per la liberazione "di un innocente" che ha saputo mantenere "salda la propria fede". "Auspichiamo che questo fatto - conclude - possa infondere nuova speranza alla gente che è in prigione, in attesa che venga fatta giustizia".