Hong Kong, 24 incriminati per la veglia in memoria di Tiananmen

Il 4 giugno scorso almeno 115mila persone avevano sfidato il divieto del governo, e le regole anti-pandemia, per commemorare gli uccisi del massacro. Davanti al giudice compariranno i leader democratici Joshua Wong, Nathan Law e Jimmy Lai. L'accusa è di aver organizzato e preso parte alla manifestazione. Fronte democratico: Mossa dettata da Pechino, che vuole intimidire le voci contrarie alla nuova legge sulla sicurezza.


Hong Kong (AsiaNews/Agenzie) – Le autorità giudiziarie hanno incriminato 24 persone per aver organizzato e preso parte alla veglia in ricordo del massacro di Tiananmen. Alcune di loro sono accusate anche di incitamento a partecipare a una manifestazione non autorizzata. Lo ha dichiarato ieri sera la polizia cittadina.

Lo scorso 4 giugno, almeno 115mila persone hanno sfidato il divieto del governo, e le regole anti-pandemia, riunendosi al Victoria Park. Il 4 giugno del 1989 migliaia di studenti cinesi furono massacrati dalle forze di sicurezza per aver chiesto libertà e democrazia.

Tra gli incriminati figurano gli attivisti democratici Joshua Wong, leader della formazione autonomista Demosisto (ora disciolta), e Nathan Law, riparato in Gran Bretagna per timore della nuova legge sulla sicurezza voluta da Pechino.

Il magnate dell’editoria Jimmy Lai sarà processato con la stessa accusa, insieme ai parlamentari democratici Chu Hoi-dick e Wu Chi-wai, e al consigliere distrettuale Lester Shum. Il 15 settembre, davanti ai giudici compariranno anche Figo Chan, vice coordinatore del Civil Human Rights Front, l’ex leader studentesco Sunny Cheung e gli ex membri del Legco (il Parlamento locale) Cyd Ho e Leung Kwok-hung.

Secondo il fronte democratico, la polizia sta tentando di intimidire le voci dissenzienti. Gli attivisti incriminati notano che il Dipartimento di giustizia potrebbe ora ritirare i loro passaporti e limitare il loro diritto di lasciare Hong Kong. Per il campo anti-Pechino, dietro le incriminazioni vi è la mano del governo cinese, che vuole impedire alle personalità democratiche di raccontare alla comunità internazionale quanto sta accadendo nell’ex colonia britannica.