05/02/2017, 16.04
美国 - 亚洲
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特朗普忠实于门罗主义:美国利益高于一切

作者 Luca Galantini

美国新总统就职百天的亚洲外交政策是前人民主党和共和党政府的继续。叙利亚、伊朗和北朝鲜的新威胁。由此,联合国继续被搁置一旁、军备市场继续扩大

米兰(亚洲新闻)—L'interventismo politico militare nel continente asiatico dei primi 100 giorni del presidente Usa, Donald Trump, smentisce il programma isolazionista e neutralista che egli ha sostenuto con vigore durante la campagna elettorale americana.

Il ciclone Trump ha preso in contropiede tutte le cancellerie internazionali, dimostrando sul campo un attivismo ed una capacità decisionale fulminea, con l'intenzione chiara da parte sua, anzitutto, di far dimenticare agli americani la scolorita politica estera di Barack Obama.

In verità, gli efficaci slogan "America first" e "Make America great again" con cui il presidente Trump ha ottenuto massicci consensi debbono invece essere interpretati nel segno di un filo rosso di continuità della storia della politica estera Usa che ha sempre avuto il fine di garantire il primato della sicurezza e dell'interesse nazionale, secondo una logica inevitabilmente sempre più egemonica che ha fatto degli Usa il gendarme del mondo dal XX secolo ad oggi.

Un’interpretazione affrettata del programma politico di Trump da parte di studiosi e mass-media ha fatto dimenticare infatti quel filo rosso caratterizzante la politica estera USA da più di un secolo -  attraverso la cosiddetta Dottrina Monroe - che non ammette assolutamente l'interferenza negli interessi e nella sicurezza nazionale statunitense da parte di altri Stati addirittura al di fuori dei confini territoriali Usa.

Ciò si è tradotto e si traduce anche nelle mosse di Trump in una strategia politica inevitabilmente "imperiale" sul pianeta, in grado di realizzare economicamente e politicamente l'ambizione "America great again". Ciò accade sia con presidenze democratiche che repubblicane.

Nei primi decenni dell'Ottocento il presidente americano James Monroe elaborò quei principi di politica estera che ancor oggi hanno la pretesa di giustificare il diritto d'intervento Usa al di fuori dei propri confini: allora Monroe affermò che gli Usa non avrebbero tollerato alcun intervento di potenze straniere sul Continente americano, e che ogni intervento sarebbe stato considerato un attentato alla pace, alla sicurezza ed alla libertà degli Stati Uniti. Con ciò si posero le premesse per l'egemonia politica internazionale Usa nelle Americhe ed un ribaltamento di fatto dell'isolazionismo statunitense in nome curiosamente proprio dei diritti di libertà e sicurezza nazionale.

Da allora la Dottrina Monroe ha subito una interpretazione sempre più allargata all'intero pianeta, in nome sovente di un messianismo fideistico con cui le classi politiche dirigenti degli Usa si sentono chiamate per vocazione a sostenere, spesso con disinvoltura, la causa della democrazia nel mondo.

Nel Novecento il presidente Franklin D. Roosvelt sostenne il pieno diritto d'intervento delle forze Usa nell'emisfero occidentale del globo in caso di violazione di obblighi internazionali che danneggiassero gli interessi nazionali statunitensi. L'intervento nella Prima guerra mondiale fu giustificato dal presidente Thomas W. Wilson in nome della difesa della democrazia e dei diritti di libertà dei popoli contro l'oppressione degli Imperi centrali europei. Analogamente si giustificò il presidente John F. Kennedy con l'intervento a Cuba e nel Vietnam di fronte al pericolo totalitario comunista; così agì George Bush giustificando interventi militari e guerre preventive in Iraq e Afghanistan in nome della difesa dei valori di libertà e democrazia.

Se si osserva il muscolare decisionismo del presidente Trump nell'area geopolitica dell'Asia non si può fare a meno di cogliere un segno di continuità con le precedenti scelte interventiste Usa, che di fatto finiscono per subordinare gli interessi e gli assetti nazionali degli altri Stati al primato del sistema politico-economico-militare statunitense.

Non è casuale che Trump, nella conferenza stampa seguita al bombardamento delle basi aeronautiche siriane del presidente Bashar Al-Assad, abbia avvertito la necessità di giustificare agli occhi del mondo l'intervento Usa in nome esclusivamente dei "crimini contro l'umanità" di cui il governo Assad si sarebbe reso responsabile.

In verità ad oggi nessun elemento probatorio è stato mai fornito dall'Amministrazione Usa alla comunità internazionale a riprova della responsabilità di Assad, e l'intervento militare si è realizzato in concreto ignorando il ruolo dell'Onu e del Consiglio di Sicurezza in particolare, quasi a riprova che il sistema della concertazione multilaterale e della partecipazione della comunità internazionale alla risoluzione diplomatica delle crisi non sia esattamente nei programmi dell'agenda Trump.

Analoga e ancor più preoccupante questione è quella della crisi Usa-Corea del Nord e di riflesso con il tutor di quest'ultima, la Repubblica popolare cinese.

L'interesse degli Usa al controllo della costa nordoccidentale del Pacifico ed al contenimento della Cina è alla base della strettissima cooperazione politico militare con la Corea del Sud e il Giappone. In questo quadro la Corea del Nord rappresenta la punta dell'iceberg della prova di forza che Trump e la Cina stanno conducendo per la definizione della leadership politica, economica e militare nel Sud-Est e Far East asiatico: il regime dittatoriale della Corea del Nord è stato a lungo un utile snoozer - uno Stato-cuscinetto - per la Cina comunista, che ovviamente non intende assolutamente ammettere un'eventuale riunificazione della Corea in chiave democratica con il rischio di trovarsi al confine uno Stato fedele alleato degli Usa. Al contempo i devastanti effetti del regime dittatoriale di Kim Jong-un rappresentano una concreta minaccia alla sicurezza di Giappone e Corea del Sud, i più fedeli alleati di Trump.

Da qui il ricorso ad una politica muscolare di forza, che non esclude, a detta di analisti di think-tanks americani, anche l'ipotesi di un ricorso - pericolosissimo -  alla guerra preventiva a difesa degli alleati laddove il governo nordcoreano sfuggisse completamente di mano al controllo cinese. Si consideri però che il ricorso alla guerra preventiva, già adottato dall'amministrazione Bush nella National security strategy seguita agli attacchi terroristici alle Twin Towers, non è mai stata ammesso e legittimato dalla comunità internazionale e dell'Onu.

La proiezione della dottrina Monroe in termini di intervento in Asia da parte dell'amministrazione Trump non si esaurisce con la Siria e la Corea del Nord. I rapporti Iran-USA si stanno rapidamente deteriorando in quanto secondo Trump la repubblica scita degli ayatollah resterebbe comunque il principale responsabile dell'instabilità dell'area mediorientale e della sicurezza internazionale.

Prova ne sia la minaccia di Trump di voler rinegoziare l'accordo sullo sviluppo nucleare iraniano e l'ipotesi di richiedere sanzioni economiche contro Teheran come previste dallo Statuto Onu in questi casi. L'attacco alla Siria e il congelamento dei rapporti con l'Iran contribuiscono inoltre a rinsaldare la partnership Usa-Israele, mai così in crisi a causa della presidenza Obama.

Questa chiave di lettura purtroppo sposta le lancette della distensione in Medio Oriente indietro di anni, in quanto ignora del tutto le oggettive pesanti responsabilità dei regni, regimi e governi sunniti arabi - non di rado formalmente alleati degli stessi Stati Uniti -  nel sostegno indiretto al terrorismo internazionale e alla destabilizzazione del mondo arabo ed islamico in chiave fondamentalista. Al contempo ignora la pur legittima aspirazione della repubblica iraniana - al pari di ogni altro Stato - ad un ruolo regionale nello scacchiere mediorientale, penalizzando pesantemente l'export economico di Teheran attraverso il divieto ancor oggi in vigore di utilizzare il dollaro nelle transazioni finanziarie nonostante la cessazione dell'embargo internazionale.

In questo quadro così complesso assumono rilevanza purtroppo due dati di fatto oggettivi: la progressiva emarginazione dell'Onu dalla gestione delle crisi politiche in Asia, in spregio proprio al primo compito che lo Statuto Onu all'art.1 attribuisce alla comunità internazionale, cioè il mantenimento della pace e della sicurezza nel mondo.

In secondo luogo si osserva il rapido incremento delle spese per armamenti militari che i principali Paesi asiatici compiono: i dati ufficiali dell'Istituto di ricerche sulla pace di Stoccolma (Sipri) confermano un aumento costante delle spese militari in Asia, in primo luogo in Cina, con un aumento del 5.4% nell'ultimo anno. Al contempo il presidente Trump ha espressamente promosso un aumento storico della spesa militare Usa. La sicurezza e l'interesse nazionale evidentemente, e purtroppo, transitano in primo luogo attraverso la crescita dell'industria degli armamenti piuttosto che attraverso la cooperazione internazionale.

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