Il ministro degli Interni annuncia interventi fermi per prevenire attacchi o scontri, in un clima di “crescenti tensioni globali” per la guerra a Gaza e il conflitto israelo-palestinese. L’incontro con la comunità ebraica alla sinagoga Chesed-El e la conferma del contestato evento “Friends of Israel Annual Aliyah Gala Dinner”. Ma il denaro raccolto non andrà ai coloni.
Ad AsiaNews lo studioso giordano sottolinea che superato il passaggio “più facile” legato al ritorno “degli ostaggi in vita”, sono emersi i punti critici. Il movimento non vuole cedere le armi ed è in stallo la definizione di una forza internazionale chiamata a vigilare sulla tregua. Superare “logica di conflitti e tensioni regionali” per creare “futuro di pace” a livello “culturale, oltre che economico”.
La popolazione è “onorata” per essere stata scelta come prima meta di un viaggio apostolico all’estero del pontefice, ma è anche “esausta”. Dai due anni di guerra agli attacchi nel sud di Israele, restano molti i nodi irrisolti. La missione di Ortagus per negoziati diretti fra Stato ebraico e il Paese dei cedri. Si allarga la frattura fra cristiani, drusi e sunniti e il tandem sciita Hezbollah-Amal.
Fra i Paesi parte della forza internazionale di stabilizzazione secondo il piano di pace di Trump vi sarebbe anche l’Azerbaijan. Da 30 anni la nazione musulmana del Caucaso è uno degli alleati chiave dello Stato ebraico oltre a rappresentare un canale di comunicazione con la Turchia. A favorire le relazioni la lotta comune contro estremismo e terrorismo islamico.
Nel clima aperto dall’incontro in terra egiziana, il capo dello Stato libanese ha annunciato la disponibilità a colloqui con lo Stato ebraico. Ma non ha specificato se saranno diretti o meno. Le analogie fra il disarmo di Hezbollah e Hamas a Gaza. Hezbollah e Amal guardano alle elezioni politiche del maggio 2026 per mantenere la leadership nel versante sciita. E mirano a bloccare qualsiasi accordo possa risultare sgradito.
Per l’analista e studioso nato nella Striscia e oggi di base negli Stati Uniti il movimento cerca di “tornare al monopolio” delle armi e al controllo del territorio. Per farlo “ricorre a torture ed esecuzioni sommarie” dietro pretesto di “collaborazionismo”. Serve una missione “per far rispettare la legge e il diritto tutelando prima di tutto i palestinesi”. "Le persone con cui parlo a Gaza temono un ritorno al 6 ottobre 2023".
Prima l’annuncio della presenza del premier israeliano alla firma dell'accordo, poi ritirata per la concomitanza con una festa ebraica (ma il probabile motivo reale è la presenza del leader dell'Anp Abu Mazen). Fonti israeliane annunciavano anche per domani una storica visita del presidente indonesiano Prabowo a Gerusalemme, ma il ministero degli Esteri di Jakarta ha smentito. Modi snobba il vertice: a rappresentare l'India il numero tre della diplomazia.
Ad AsiaNews Yonatan Zeigen invita a rompere lo schema di un Paese in guerra e “congelato” al dramma del 7 ottobre. E invita a “pensare al nostro presente e al nostro futuro”. Andare oltre l’accordo di pace di Trump e immaginare una “visione diversa” basata sull'“uguaglianza” fra i due popoli. Ora "una nuova leadership, un nuovo governo, una mentalità nuova” per entrambi.
AsiaNews pubblica la riflessione dell’attivista politico e mediatore sull’accordo di pace (alla prima fase) a Gaza. Già protagonista della liberazione del soldato Shalit, ha operato anche in questi mesi dietro le quinte per raggiungere il cessate il fuoco. Fra la debolezza di Biden, la guerra a tutti i costi dell’esecutivo Netanyahu e la forza di Trump nell’imporre la pace (con turchi e arabi).
Attesa la ratifica ufficiale dopo la riunione del governo israeliano. In una nota il primate latino di Gerusalemme parla di “una prima fase” che rappresenta però una “buona notizia”. P. Romanelli invoca una “pace giusta e permanente”. Raggiunto il consenso sulla liberazione dei prigionieri e il ritiro delle truppe, restano ancora nodi irrisolti da definire nelle fasi successive.