A Tbilisi i dirigenti del partito al potere del Sogno Georgiano definiscono i dimostranti come “radicali” e addirittura “satanisti”. Il patriarcato sostiene apertamente il governo, impegnato a combattere “l’imposizione alla popolazione del Paese delle ideologie estranee, inusuali e pericolose. Ma l’arcivescovo di Dmanisi, Zenon Iaradžuli, ha chiesto di non approvare la legge che potrebbe danneggiare anche alcune ong legate alla Chiesa.
Il Sinodo della comunità ortodossa guidata dal metropolita Epifanyj ha rivolto un appello al patriarca Bartolomeo affinché condanni Kirill per l'"eresia etno-filetista". Lo scontro con l’altra giurisdizione ortodossa, da sempre legata a Mosca, pur avendone preso formalmente le distanze dopo l’invasione russa.
A differenza dei politici “convertiti” post-sovietici Andrej Belousov è uno dei patroni del monastero di Diveevo, la storica sede di san Serafino di Sarov. Fin dai primi anni Duemila, qui si concentra l’influsso della “ortodossia presidenziale” nel luogo simbolo di una spiritualità che all'inizio del Novecento era considerata troppo contigua all'eresia dei Vecchi Credenti, convinti della superiorità del cristianesimo russo su quello bizantino.
Di nuovo in auge a Mosca Konstantin Gološanov, già leader della “Fraternità dell’Athos” che riuniva gli oligarchi-vip. Uscito di scena con l’inizio dei conflitti con l’Ucraina (e l’esplosione di alcuni scandali finanziari), oggi si ripropone di mostrare attraverso l’arte sacra che la Russia è la “vera Europa”.
La condanna di Tkačev da parte di personaggi autorevoli come Kuzmin e Dvorkin ha scoperchiato il vaso di Pandora all’interno della Chiesa ortodossa russa, dove si confrontano le “due torri” della guerra santa e quella che veniva condannata come “la setta liberale”, legata alla memoria di Aleksandr Men, il “padre spirituale del dissenso”.
È quanto ha sottolineato l’ausiliare del Vicariato apostolico dell’Anatolia nella messa celebrata per la festa del 29 giugno. L’abbraccio fra fratelli cattolici e ortodossi offre “l’opportunità di sperimentare la gioia dell’incontro”. La città ancora in grave difficoltà, sembra “colpita da grandi bombardamenti”. E l’appello finale: servono religiosi e fidei donum per aiutarci a tener vivo il cristianesimo in Turchia.