13/05/2024, 16.10
CINA
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Condanna finita, ma nessuna notizia della blogger che raccontò la pandemia a Wuhan

Cristiana in prima linea per i diritti umani a Shanghai, oggi quarantenne, Zhang Zhan avrebbe dovuto essere liberata oggi scontati i quattro anni di reclusione, ma alla famiglia è stato imposto il silenzio e non si hanno notizie certe su di lei. Gli attivisti che seguono il suo caso temono che la sua detenzione stia proseguendo sotto altre forme, come già accaduto in altri casi.

Shanghai (AsiaNews/Agenzie) - Trascorsi i quattro anni di carcere a cui era stata condannata con la classica accusa di “provocare litigi e creare problemi”, oggi doveva essere il giorno della liberazione di Zhang Zhan, la blogger cristiana di Shanghai che nel febbraio 2020 si era recata a Wuhan e dalla città epicentro della pandemia da Covid 19 come “cittadina giornalista” per tre mesi aveva provato a raccontare quanto stava succedendo. A fine giornata, però, dal carcere femminile di Shanghai dove ha scontato la sua detenzione non è ancora filtrata alcuna notizia. E la preoccupazione degli attivisti per i diritti umani è che la sua privazione della libertà stia semplicemente continuando sotto un’altra forma.

Quarant’anni, laureata alla Southwestern University di Chengdu, Zhang Zhan era un avvocato a cui a Shanghai le autorità locali avevano già sospeso la licenza a causa delle sue battaglie per i diritti umani. Era già stata arrestata una prima volta nel settembre 2019 per aver marciato con un ombrello su Nanjing Road a Shanghai, a sostegno delle proteste di Hong Kong. Alle prime notizie della pandemia si era quindi recata a Wuhan per documentare quanto stava succedendo, pubblicando un centinaio di video in tre mesi e rispondendo anche a domande di media internazionali. Arrestata nel maggio 2020 era diventata la prima blogger a essere condannata per le notizie diffuse sulla pandemia.  

In una nota diffusa questa sera alle ore 19,30 di Pechino la campagna Free Zhang Zhan - che dalla Gran Bretagna ha tenuto accesi i riflettori sul suo caso - ha confermato che non è arrivata nessuna conferma sul fatto che la donna abbia effettivamente lasciato il carcere e sia tornata a casa. “Sappiamo che la famiglia di Zhang Zhan è stata sottoposta a enormi pressioni e ha ricevuto un severo avvertimento a non rilasciare interviste ai media - si legge in una nota diffusa stasera -. Anche le telefonate degli amici sono rimaste senza risposta. Almeno un attivista di Shanghai nei giorni scorsi è stato convocato dalla polizia per aver espresso l’intenzione di andare a prendere Zhang Zhan all’uscita della prigione insieme alla madre. Un'attivista dell’Henan è stata intercettata in una stazione ferroviaria mentre cercava di recarsi a Shanghai; voleva salutare Zhang Zhan o almeno mostrarle solidarietà fuori dal carcere femminile, ma le è stato impedito di comprare il biglietto ferroviario”.

La campagna Free Zhang Zhan parla di “segnali estremamente preoccupanti”. “Se Zhang Zhan si troverà nella stessa situazione di Chen Jianfang (un’altra attivista che nell’ottobre 2023, quando è stata rilaciata dal carcere, è stata posta agli arresti domiciliari ndr), avrà poche possibilità di ricevere le cure mediche urgenti di cui ha bisogno per riprendersi. È assolutamente inaccettabile che il governo cinese sottoponga molti difensori dei diritti umani e le loro famiglie a questo tipo di crudeltà. Anche dopo il loro rilascio, sono ancora privati dei loro diritti fondamentali. Per alcuni è come se avessero ricevuto una condanna a vita”.

“Avremmo già dovuto avere notizie da lei o dalla sua famiglia - conclude la nota -. Invece, ci chiediamo dove sia, come stia fisicamente e mentalmente, che cosa sia successo alla sua famiglia e che cosa le riservi il futuro: rimarrà prigioniera in casa sua (come accaduto a Chen Jianfang)? Sarà detenuta in una struttura medica senza accesso alla sua famiglia (come capitato all'attivista dell’Hubei Yin Xu'an)? Scomparirà forzatamente (come l'avvocato per i diritti umani Gao Zhisheng)? Il silenzio parla chiaro. Esortiamo la comunità internazionale a chiedere conto al regime comunista cinese della sua orrenda pratica di ‘detenzione morbida’ o di ‘non rilascio’ degli ex prigionieri politici”.

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