Non ci sono soltanto esaltati guerrieri, gerarchi religiosi autocefali e scismatici, schiere di diversanty, sabotatori che lanciano droni esplosivi. Ci sono uomini e donne, famiglie e bambini, credenti e non credenti a cui non importa stabilire i confini delle nazioni e dei popoli, ma vivere in pace sulla propria terra, con la propria fede.
Prigožin ha abbandonato Bakhmut, ridotta a un cumulo di macerie, rilasciando a raffica interviste che assomigliano molto al riconoscimento della sconfitta, più che alla proclamazione della vittoria. Se l’Ucraina ha un futuro ben delineato di membro della comunità occidentale ed europea, se l’Asia centrale ormai discute tutti i propri affari con la grande potenza di Pechino, Mosca cercherà di non rassegnarsi alla propria insignificanza.
Per rafforzare lo spirito del patriottismo ortodosso Putin ha rotto ogni indugio, decidendo di restituire a titolo definitivo la celebre icona alla Chiesa di Kirill. Non importa se l’esposizione nel monastero della Santissima Trinità potrebbe ridurla in polvere. Ma l’idea di usare un’icona per giustificare la santità del potere assoluto non è affatto nuova.
Quando un qualunque contenuto viene considerato una minaccia, non è più importante quanto questo rischio sia reale, e quanto siano efficaci le misure per contenerlo: importante è dare l’impressione che “tutto è sotto controllo, non ci sfugge niente” delle intenzioni malvagie della gente.
I droni sul Cremlino offuscano i fuochi d’artificio già pronti a illuminare il cielo di Mosca, e di poche altre città, visto che la parata del 9 maggio è stata quasi ovunque annullata, per timore di incidenti. Ma ancora più degli avversari esterni ed interni, a preoccupare Putin sono i sostenitori, sempre più attivi e sfrontati, a partire dal “cuoco” Prigožin.
Accordi per una base sul Mar Rosso, forniture di armi a entrambi i contendenti, affari della compagnia Wagner: nella guerra in Sudan Mosca consolida la penetrazione nel continente. Che ha anche il volto del metropolita Leonid, il “cuoco di Kirill”.
Treccine bionde e “chiodo” da rocker, Šaman rappresenta il volto estremo e futurista dell’identità russa, che prende le distanze dall’Occidente copiandolo in ogni dettaglio, ma in versione “io sono russo”. E in quello che è diventato l'inno del momento a Mosca mostra la terra “da noi custodita” alternando le folle osannanti all’abbraccio con le spighe di grano.
Come avveniva negli anni Novanta, il cibo diventa la dimensione dell’identità perduta e di quella da ritrovare. Gli stipendi medi si abbassano e allora l’unico cibo rimane la “spiritualità” dei valori morali tradizionali, confidando nei miracoli invocati da metropoliti e patriarchi, ma affidati alle mani dei cuochi rimasti senza ingredienti.
In queste ore in cui la Pasqua latina e la Settimana Santa ortodossa si intrecciano con la guerra, viene alla mente quando i filosofi della “rinascita dell’idea russa” come Florenskij, Berdjaev e Bulgakov contrapponevano la falsa verità ideologica dell’intelligentsija all'autenticità della Chiesa, che annuncia la redenzione cristiana.
A Kiev mentre Onufryj - guida della giurisdizione ortodossa ancora legata al patriarcato di Mosca - chiede al governo ucraino di bloccare lo sfratto, l'antagonista Epifanyj ha già nominato un nuovo superiore della Lavra delle Grotte. La lunga storia della fucina delle tante anime del cristianesimo russo, sviluppatasi a metà dell’XI secolo grazie alla guida illuminata del figlio del primo principe Vladimir, Jaroslav “il Saggio”.
La storia non ha insegnato nulla, altrimenti non ci sarebbero più guerre da molti secoli. Ma mentre ci si chiede come riuscire finalmente a far cessare il fuoco, si può comunque trovare ispirazione in una data lontana, quando nel 1686 si mise fine alla guerra tra il regno dello zar di Russia e quello polacco-lituano della Reczpospolita.
Per anni ha negato di essere il fondatore e il comandante della “compagnia Wagner”, di cui oggi invece si gloria come del “migliore esercito del mondo”. La sua biografia - dal carcere alla ristorazione, fino agli strali di oggi contro il resto dell’élite del Cremlino - è una sintesi della storia tardo e post-sovietica.
In uno spericolato rovesciamento di fronti, l’avanguardia sovietica del femminismo mondiale si trasforma oggi nella celebrazione delle “madri eroiche”, premiate al Cremlino da Putin. Vittima della guerra è proprio il mito della madre, della donna russa che si prende cura di tutta la famiglia e di tutto il popolo caricandosi delle sofferenze e delle umiliazioni, come la Matrjona di Solženitsyn, anima dell’intero villaggio dei perseguitati.
Tutti desiderano la fine della guerra, ma non può essere solo una questione di resa o compromesso, identità e dominio sul campo di battaglia. È una guerra interiore, che si svolge nelle chiese e nelle coscienze, nelle università e nelle scuole, per le strade e nelle case di tutti i Paesi d’oriente e d’occidente.
I toni esagerati e il vuoto di contenuti hanno prodotto un effetto soporifero e mortifero nell’animo dei cittadini russi, in preda allo sconforto per i timori di nuove coscrizioni obbligatorie. E una surreale diatriba web sul gorgonzola descrive, meglio di qualunque altro esempio, il desiderio dei russi di “non essere coinvolti”, di ribellarsi ai sensi di colpa e scrollarsi di dosso le retoriche dei “valori tradizionali”.
La dimensione ecclesiastica appare sempre più secondaria nell’esaltazione del “Mondo Russo”, che indica il popolo e l’impero più delle liturgie e delle mitre vescovili. Dappertutto si imprime su bandiere, magliette e meme digitali, lo slogan “Siamo russi, Dio è con noi!" che lo zar Nicola I volle come grido della Russia nella guerra di Crimea a metà dell’Ottocento.
Il conflitto in corso tra Russia e Ucraina agita in realtà due spettri, due identità incompiute, la cui effettiva eredità nella vita delle persone sarà a lungo ancora difficile da definire.
Discutere se sia la Russia a voler fare la guerra alla Nato, o gli alleati a voler distruggere la Russia, non cambia il quadro della situazione, in cui entrambi i contendenti sono concentrati unicamente sulle strategie e gli obiettivi da raggiungere.
Se il dialogo tra le Chiese è stato un modo per uscire dalle tensioni delle guerre mondiali del Novecento, i nuovi conflitti attuali rivelano che gli sforzi di quel grande lavoro non hanno potuto eliminare le ragioni delle divisioni, spesso assai poco spirituali e molto legate alle vicende storico-politiche, come del resto avveniva negli scismi più antichi.
Nella festa del Battesimo di Gesù - appena celebrata nel calendario ortodosso - il bagno nell’acqua del kupel con l’apertura a croce sul ghiaccio dei laghi è un rito quasi esclusivo dei russi: se si sopravvive alla triplice immersione nell’acqua della gelida morte, allora si potrà sperare davvero in una vita nuova.
Il grande ritornello della propaganda putiniana, espresso in una forma sempre più radicale e apocalittica, è simile alle dichiarazioni recenti degli ayatollah iraniani di fronte alle accuse di repressione delle donne e del popolo: “Noi abbiamo la nostra cultura e i nostri valori, e nessuno ci può imporre un altro modello di vita”.
Fin dagli anni Novanta il futuro patriarca di Mosca guardava a Ratzinger come un punto di riferimento per una possibile alleanza ortodosso-cattolica. La storia ha però mostrato quanto questi sogni fossero privi di fondamento. Il papa mite e profondo ci ha preparato a lungo ad affrontare la vera Apocalisse e la sua profezia vale oggi ancora più di ieri.
Nel trentennio post-sovietico il Natale si era sdoppiato, accogliendo il 25 dicembre del calendario gregoriano, senza conflitti con il 7 gennaio di quello giuliano della Chiesa ortodossa. Con la guerra i cristiani tornano a litigare per le date del calendario liturgico. E torna alla mente come il primo scisma nel II secolo fu superato grazie a Ireneo, un santo dell’Asia andato a predicare in Gallia, inaugurando l’incontro delle anime e delle grandi correnti della spiritualità cristiana.
La guerra in Ucraina ci sta mostrando come la propaganda sia tornata a occupare tutta la scena, punto di arrivo di una parabola che va dalle poesie di Majakovskij fino agli influencer di oggi. E torna quanto mai attuale il dilemma di Dostoevskij che scriveva: "Se qualcuno mi dimostrasse che Cristo è fuori dalla verità e se fosse effettivamente vero che la verità non è in Cristo, ebbene io preferirei restare con Cristo, piuttosto che con la verità”.
Tra emigrati da tempo e fuggitivi recenti, la diaspora russa presenta un quadro variegato e assai poco unitario, anche se ricco di personalità di spicco della cultura, della politica e dell’economia. Del resto la divisione è un classico non solo della politica russa all’estero, ma anche della sua religiosità e delle strutture ecclesiali, come proprio la guerra russo-ucraina ha mostrato.
Nelle frasi sulla crudeltà nell'aggressione all'Ucraina che chiamano in causa alcune minoranze etniche il papa utilizza con molta precisione le chiavi di interpretazione delle componenti del mondo russo: la Russia, lo Stato russo, le etnie non russe, tre dimensioni diverse di un’unica e complessa realtà.
Che appoggino incondizionatamente il patriottismo militante, che sperino soltanto nella fine dell’incubo o cerchino timidamente di opporsi rischiando il lager e l’espulsione dalla vita sociale in ogni altro modo, tutti i russi guardano al futuro con un senso di smarrimento e incertezza, rabbia e senso di colpa, frustrazione e orrore del vuoto.
Gli ucraini non devono cercare la “vendetta sui russi”, ma il trionfo della via democratica della società, ispirando non l’esportazione forzata del proprio sistema, ma un vero confronto di civiltà, che nel nostro tempo sta venendo a mancare sempre di più.
Dopo il ritiro da Kherson la guerra sul campo sembra bloccarsi nel confronto di trincea tra le due sponde del Dnepr, tornando a una condizione simile a quella sperimentata nel 1480 nel cosiddetto “Confronto sull’Ugra”. Allora le due forze dell’Oriente e dell’Occidente scelsero di non proseguire la lotta, e la Russia cominciò la sua rinascita fino a sognare di poter diventare la “terza Roma”.
Celebrando il 4 novembre la torbida memoria seicentesca, i russi trovano le ragioni per proseguire nella grande guerra difensiva, ora di fatto impantanata nei fanghi tardo-autunnali delle zone annesse. Ma invece di selezionare eventi passati di gloria imperiale, sarebbe stato meglio non oscurare un’altra data simbolica: quella del 30 ottobre, la memoria dei dissidenti sovietici, oggi cancellata d’autorità.