C’è nostalgia della semplificazione sovietica del mondo, che era ben gradita anche nel campo avversario. E “fare di nuovo grande l’America” risuona come un richiamo al mondo infantile del Massachusetts tanto quanto a quello del Caucaso o della Siberia.
La guerra in Ucraina costringe i popoli di queste terre a fare una scelta netta, contro la propria stessa coscienza. I moldavi vogliono avere un posto nel mondo, non soltanto nel “mondo russo”, di cui comunque sanno di essere una parte. Ancora più drammatica è la scelta che spetta ai georgiani in questo fine settimana, dove si decide non solo la spartizione dei seggi parlamentari, ma il futuro del Paese.
Nel 1846 Nicola I si recò privatamente a Roma dal papa Gregorio XVI per scongiurarlo di non cedere alle tentazioni liberali e repubblicane che stavano prendendo piede anche nella Città Santa. E la volontà di "difendere i valori" dell'Europa cristiana lo portò alla guerra di Crimea. Oggi, al contrario, papa Francesco con la missione a Mosca di "diplomazia umanitaria" del card. Zuppi vede la crisi del mondo alla luce del Vangelo.
Gli economisti russi insistono sulla prevalenza della “località”: una strategia di marketing comune a tutti i sovranismi, ma che in Russia funziona in modo molto limitato, essendo un Paese non proprio avvantaggiato nelle capacità produttive agricole e industriali. E che - dalla gastronomia a tanti aspetti dello sviluppo sociale - nella sua storia ha sempre assunto elementi dall’estero.
Putin è soltanto l’ultimo erede dei tanti varjagi della storia russa, che hanno cercato di “portare la civiltà” nelle terre oltre confine e nel mondo intero. Oggi l’annessione si calcola non tanto in chilometri quadrati, ma in somme di “valori tradizionali” come potevano essere in passato la rivoluzione socialista o la difesa zarista delle autocrazie.
Un Forum organizzato dalla facoltà di filosofia della principale università di Mosca dedicato agli avvenimenti del tempo presente in Russia ha espresso posizioni non scontate e univoche. Pur senza criticare apertamente le posizioni del potere dominante, i filosofi dimostrano di non voler rinunciare alla vera dimensione dell’anima russa, quella dell’apertura a tutte le varianti dello spirito
Oggi l’ortodossia in Russia si caratterizza sempre più come una religione a parte, che mantiene l’aspetto formale del cristianesimo di rito slavo-orientale, e allo stesso tempo si estende sempre più ad altre confessioni “patriottiche”, fino ad associare anche l’islam e il buddismo nell’unica espressione della patria trinitaria.
Cercando di non limitarsi a ripetere le affermazioni della solita propaganda di Stato nel contesto del conflitto universale tra la Russia e l’Occidente, il patriarca di Mosca qualche giorno fa a San Pietroburgo ha voluto approfondire con argomenti filosofici e letterari le motivazioni per cui la Russia si sente oggi chiamata a diffondere i “grandi valori” a cui la società universale avrebbe deciso di rinunciare.
La prima visita di un condottiero russo all'allora capitale Karakorum ebbe luogo nel 1247, quando tutta la Russia e l’intera Asia erano sottomesse al Gran Khan Baty, l’erede di Gengis Khan. Putin ha bisogno di mostrarsi sui palcoscenici internazionali, e Ulan-Bator è una location assai più conveniente della Cina, dove il russo appare inevitabilmente un suddito. Come mostra la travagliata vicenda del gasdotto Forza della Siberia-2.
Sia i portavoce del potere, sia la maggior parte delle voci di opposizione a Mosca hanno reagito sorprendentemente all’unisono all'arresto in Francia dello zar russo di internet, difendendo la libertà di espressione e di comunicazione. A conferma che l’arma definitiva della guerra non è il drone d’assalto o la bomba nucleare, ma l’ideologia che distorce la realtà
Il tentato golpe che nel 1991 portò alla fine dell'Unione Sovietica, la consacrazione della cattedrale di Cristo Salvatore nel 2000, la strage dei bambini di Beslan del 2004: tre anniversari estivi che hanno costretto i russi a ripensare in questi giorni all’incerta evoluzione del proprio destino.
Rileggendo la sua lunga storia la conquista dei “mille chilometri quadrati” della regione di Kursk da parte dell’esercito ucraino ha anche un significato simbolico, prima ancora dei vantaggi militari o diplomatici che ne potrebbero conseguire. È un modo per riaffermare la storica superiorità di Kiev su Mosca. Proprio mentre i russi inaugurano un nuovo grandioso complesso a Sebastopoli in Crimea.
Per il filosofo Nemtsev la tendenza latente alla violenza diventa la forma decisiva per ritrovare quanto perduto. I civili diventano “quasi-militari”, con addestramento spontaneo individuale e di gruppo. Anche l’abbigliamento nel quotidiano richiama l’esperienza bellica con guanti tattici e ginocchiere di protezione. La guerra contenuto fondamentale della letteratura, arte e cultura russa.
A Sebastopoli le celebrazioni della festa del Battesimo della Rus’ di Kiev sono diventate l’occasione per ammantare di un’aura trinitaria l’unità tra Bielorussia, Ucraina e Russia. Proprio mentre il clamoroso scambio di prigionieri politici con Germania e Stati Uniti, ha permesso a Mosca di liberarsi dei più noti “agenti stranieri” che “disturbavano la pace interna” anche dalle celle dei lager.
Il russo medio non sostiene questa impostazione, ma non sa come contrastarla, e guarda con terrore agli esiti della guerra: la sconfitta getterebbe tutti nel panico, ma anche una vittoria rischierebbe di destabilizzare le relazioni sociali, non sapendo che cosa potrebbe accadere “dopo”, qualunque sia l’esito delle vicende in corso.
Per lo storico del pensiero Mikhail Majatskij la Russia di Putin ha “cancellato la filosofia”, sostituendola con un’ideologia patriottica pseudo-scientifica, basata sulla rilettura arbitraria della storia russa e universale. Lo stesso richiamo al pensatore esistenzialista Ivan Il’in non viene utilizzato per far riflettere davvero sul senso delle tragedie in corso. E torna quanto mai urgente l'"estetica della rinascita" su cui scriveva già negli anni Ottanta Aleksej Losev.
Proprio mentre era in corso il bombardamento sul luogo di cura per i piccoli pazienti oncologici ucraini, a Mosca si chiudeva (per riaprire in forma permanente) la mostra che esalta la "Russia senza fine". Mentre si lodano i successi interni, lo sterminio esterno viene commentato con cinica indifferenza: “È la guerra, non c’è niente di speciale”.
Tra la gente a Mosca è molto in voga la domanda “sei con Biden o con Trump?”. Non tanto per motivi ideologici o geopolitici, ma per un fascino misterioso di comunanza e repulsione allo stesso tempo verso il grande nemico, che per molti aspetti è percepito come un Grande Fratello.
Contro ogni previsione, il Pil della Russia sta crescendo a ritmo sostenuto. Non c’è più bisogno di mettere qualcosa da parte per i “tempi bui”, che sono già arrivati. Tutto si riversa sul consumo immediato e ovviamente la massa principale dei soldi finisce nell’industria bellica, attorno alla quale crescono i vari gruppi di un indotto senza fine.
La Corea come la Crimea, chiave per destabilizzare l’Asia come l’Europa, in un quadro di tensione bellica permanente e crescente a tutte le latitudini: questo sembra il vero scopo del viaggio putiniano, che dalla Cina all’Uzbekistan, dalla Corea al Vietnam disegna il suo nuovo “ordine mondiale” cercando di incutere timori allo stesso tempo a Oriente e a Occidente.
Quella che si è celebrata anche quest'anno il 12 giugno è la prima festa nazionale dell'era post-sovietica. Ma per evitare di ingarbugliarsi con le interpretazioni ondivaghe sulle sue origini, Putin ha pensato bene di richiamarsi addirittura al principe Rjurik, il mitologico capo variago che secondo le antiche cronache avrebbe dato inizio alla storia della Rus’ nell’anno 862 a Novgorod, prima ancora della fondazione di Kiev
Molte persone in Russia hanno cercato di onorare la sua memoria il 4 giugno, il giorno del suo compleanno. E il suo Fondo per la lotta alla corruzione rimane un’eredità importante, al di là delle capacità dei seguaci o del prestigio della moglie Julia, e potrebbe avere ancora un ruolo da svolgere anche in una Russia ormai rinchiusa nel totalitarismo neo-sovietico.
Una serie di video-documentari diffusi a partire da Maša Pevčik, una delle più note collaboratrici di Naval’nyj, scaricano tutte le colpe e le responsabilità di quanto oggi accade sui banditi e i corrotti che hanno impedito negli anni Novanta lo sviluppo di una società libera e democratica. Parlano di quegli anni sia i propagandisti putiniani sia i pubblicisti di opposizione, i più anziani e i più giovani, tutti avviluppati nei sensi di colpa e nei risentimenti.
Un approfondimento della rubrica Signal di Meduza ha valutato la reale consistenza del sostegno alla guerra della popolazione. La differenza fra “la maggioranza dei russi” e il campione degli intervistati nei sondaggi, sempre meno credibili. I rilevamenti mezzo di “manipolazione” e di “informazione”. L’esempio di “maschio russo medio”, amplificatore di slogan patriottici.
Il primo decreto approvato appena finita la cerimonia di inizio del quinto mandato riguarda i “Fondamenti della politica di formazione storica”. L’ansia di riscrivere la storia è il sentimento che agita più di tutti la coscienza di Putin e di tutta la generazione afflitta dal risentimento della fine dell’Unione Sovietica. Ed è questa visione globale ed escatologica che Putin cerca oggi di impersonare anche accanto a Xi Jinping in piazza Tiananmen.
In passato Putin aveva dichiarato più volte di non avere intenzione di rimanere al potere a vita, ma questo tema è stato ormai da tempo accantonato. E in occasione dell'inaugurazione dell'ennesimo mandato presidenziale il patriarca Kirill ha invocato su di lui "la benedizione di Dio fino alla fine della vostra esistenza e fino alla fine dei tempi, come usiamo dire".
Durante la funzione del Giovedì Santo il patriarca Kirill ha recitato una speciale preghiera “per la vittoria della santa Rus’”, che intensifica le litanie belliche imposte ai sacerdoti, pena la privazione dello stato clericale di fronte al rifiuto di pronunciarle. Le celebrazioni pasquali devono ricompattare il popolo dei credenti per mostrare che la Russia ha sconfitto il male al suo interno, ritrovando la giusta via per la sobornost.
La guerra in Ucraina porta il Paese nell’era della negazione e presa di distanza dal “nemico”, per affermare la “ortodossia” spirituale, morale, politica ed economica. Oggi si impongono nuovi “modelli globali” non facilmente digeribili non solo in Russia o in Oriente, ma anche in Europa e nei Paesi anglosassoni. La figura del presidente si sovrappone ormai agli zar del passato.
La questione del post-colonialismo in Russia è il grande tema di sottofondo imposto dalla guerra russa in Ucraina. Dietro le pretese del “mondo russo” ci sono le aspirazioni dei tanti popoli che da secoli sono sottoposti alla dominazione imperiale di diverse ideologie, da quella zarista a quella sovietica, e oggi dalla visione eurasiatica kirill-putiniana, che prendendosela con l’Ucraina ha di fatto scoperchiato il vaso di Pandora di tutta la storia russa.
Secondo il capo del centro Levada, il principale istituto russo di indagine sociologica, “solo il 10% dei russi si interessa attivamente di politica, e la guerra comporta una super-politicizzazione di una minoranza a fronte della de-politicizzazione delle masse”. Mentre solo il 30% è disposto a concedere fiducia alle persone esterne alla sempre più ristretta cerchia di parenti e amici.