29/03/2012, 00.00
ITALIA - CINA
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Il sogno di Monti e dell'Italia per gli "investimenti cinesi" e la libertà religiosa

di Bernardo Cervellera
Le promesse di Hu Jintao di investire in Italia non hanno spazio sui giornali cinesi. Le necessità di riforme strutturali della Cina si scontrano con il monopolio del potere da parte del Partito comunista, che produce repressione, corruzione nel governo, economia predatoria incurante degli effetti sociali e ambientali, e molte rivolte di contadini ed operai. L'invito del papa a difendere la libertà religiosa per creare una "società armoniosa". Sui giornali cinesi si esalta la fine dell'articolo 18: la Cgil sconfitta dagli eredi di Mao.

Roma (AsiaNews) - Grande, probabilmente eccessivo, spazio hanno trovato sui giornali italiani le confidenze fatte da Hu Jintao al premier Mario Monti sulle sue intenzioni di dirigere investimenti cinesi verso l'Italia. Secondo i media, che l'avrebbero appreso dallo staff di Monti, Hu Jintao avrebbe "dato precise disposizioni ai vertici delle autorità finanziarie (compresi i fondi sovrani) e alla business community cinese di tornare ad investire nel nostro Paese".

Alcuni esperti hanno già indicato i campi in cui questi investimenti potrebbero dirigersi: porti, infrastrutture, elettronica, moda, elettrodomestici...  Altri giurano che la Cina stia andando verso un sempre maggior successo economico; che la classe media è in crescita, come pure i consumi; che il prossimo cambiamento al vertice, con Xi Jinping quale segretario del Partito e presidente, segna la venuta di un "riformatore" .

Alcune fondazioni in contatto con l'Italia e la Cina prevedono un cammino tutto rose e fiori per la Cina del 2012 e del 2013

Ho avuto l'impressione che si stia parlando di un sogno.

I motivi:

  • a) Nessuna giornale cinese, nemmeno la Xinhua ha riportato quella frase o citato una riga del dialogo fra il nostro premier e il presidente cinese. Questo fa supporre che forse per i cinesi quella frase non è tanto importante come per noi, o che siano solo parole di circostanza. Ricorda le promesse fatte da Wen Jiabao durante la sua visita in Germania lo scorso febbraio, in cui ha detto che la Cina "potrebbe" aiutare l'Europa, purché questa metta a posto i suoi conti... Naturalmente siamo aperti a vedere che magari nella imminente visita di Mario Monti a Pechino e a Boao le promesse di Hu siano più precise. In questo modo le nostre speranze non sarebbero solo un sogno, ma qualcosa di più concreto.
  • b) Non sono un economista, ma guardando ai grafici di import-export fra Italia e Cina, ci si accorge che il nostro problema è che non esportiamo a sufficienza in quell'Eldorado dell'Oriente. Gli investimenti sognati serviranno a far crescere le esportazioni o invece serviranno a spazzare via manodopera italiana e il mercato interno? Questi sono infatti i risultati di tanti investimenti cinesi in Africa, dove la mano di Pechino ha distrutto le economie locali. Capisco che l'Italia stia meglio di tutti i Paesi africani, ma il dubbio mi sorge comunque.
  • c) Il problema attuale della Cina è la mancanza di domanda interna. E un suo aumento può avvenire se alla gente che lavora si danno salari più alti e se si dà loro la parola. A questo proposito, proprio ieri, l'economista Minxin Pei ha fatto notare che la Cina ha ricevuto dei meravigliosi consigli dalla Banca mondiale e dal Fondo monetario internazionale, in cui si chiede al gigante asiatico di varare delle riforme strutturali come una maggiore privatizzazione e una riduzione dell'intervento statale nell'economia. Ma l'acuto Pei fa notare che queste riforme (che permetterebbero davvero una "società armoniosa" come predica da oltre un decennio Hu Jintao) significano la riduzione del potere del Partito comunista. E su questo sembra proprio che nessuno sia d'accordo, né i maoisti, tanto dissacrati in questi ultimi tempi, né i "riformisti", né tantomeno Xi Jinping, che finora ha giocato sui due fronti per non perdere nessuna chance per la sua carriera.
  • d) Come molte volte abbiamo riportato su AsiaNews, senza queste riforme, la Cina è destinata a un fallimento economico e sociale. Il monopolio del potere del Partito significa repressione, corruzione nel governo, economia predatoria incurante degli effetti sociali e ambientali, che catalizzano le molte rivolte di cui è costellata la geografia del Paese.
  • e) Un ulteriore elemento è la questione dei diritti umani e della libertà religiosa. Due mesi fa abbiamo osato fare la richiesta a Hu Jintao e all'ambasciatore cinese in Italia di liberare due anziani vescovi che sono imprigionati da 40 e 51 anni. Non speravamo in una risposta, che naturalmente non è venuta. Al di là di qualche raro caso, dal mondo politico (anche "tecnico") non è venuto alcun appoggio. Forse perché questa classe politica sperava sempre in questi futuri investimenti cinesi. Se Parigi val bene una messa, due vescovi in prigione valgono bene gli (ipotetici) investimenti (a cascata, dicono i media: "soldi. Molti soldi").
  • f) Vale la pena ricordare qui quanto papa Benedetto XVI ha detto proprio ieri a Cuba sulla libertà religiosa, un diritto che "manifesta l'unità della persona umana che è, nel medesimo tempo, cittadino e credente. Legittima anche che i credenti offrano un contributo all'edificazione della società. Il suo rafforzamento consolida la convivenza, alimenta la speranza in un mondo migliore, crea condizioni propizie per la pace e per lo sviluppo armonioso e, contemporaneamente, stabilisce basi solide sulle quali assicurare i diritti delle generazioni future". Insomma, bisogna che i nostri politici (anche "tecnici") spingano la Cina ad attuare la libertà religiosa proprio per motivi economici e di stabilità.
  • g) Infine una nota di "nemesi": sulla Xinhua e sui giornali cinesi si parla molto della riforma del lavoro in Italia e dell'articolo 18 elogiando Monti. Chissà: magari questa riforma spingerà Pechino proprio a fare i tanto agognati investimenti in Italia, portandovi lo stile di lavoro tipico dell'Impero di mezzo. È proprio una terribile vendetta della storia che la Cgil venga sconfitta dagli eredi di Mao Zedong.
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