14/05/2025, 14.30
CINA
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Libertà e alterità: i cattolici cinesi e il 'papa americano'

Una fonte di AsiaNews racconta dalla Cina continentale l'elezione di un pontefice nato proprio in quel Paese che per la propaganda di Stato è l'antagonista di fronte al quale ostentare sempre la superiorità di Pechino. Ma lo sguardo aperto dei cattolici cinesi verso Leone XIV testimonia, ancora una volta, che credere è libertà. E che un cinese non diventa cattolico se prima non ha accettato, interiorizzato e quindi si è liberato della “tensione internazionale” che questo comporta

Pechino (AsiaNews) - Come hanno vissuto i cattolici cinesi l'elezione di papa Leone XIV? Raccontavamo già qualche giorno fa del basso profilo delle reazioni pubbliche delle autorità di Pechino (nel sito della diocesi di Shanghai, la solitamente aggiornata sezione dedicata alle notizie della Chiesa universale è ancora oggi ferma alla morte di papa Francesco). Un attendismo accentuato anche dal dato "sensibile" della nazione in cui papa Prevost è nato: quegli Stati Uniti che sono rappresentati dalla propaganda ufficiale come il grande antagonista della Repubblica popolare cinese. Che cosa rappresenta questa circostanza per la Chiesa in Cina? Una fonte di AsiaNews che vive nella Repubblica popolare, in questo articolo sulle reazioni all'elezione del papa, ci racconta la grande libertà interiore che anche in questa circostanza i fedeli cattolici stanno dimostrando, nonostante i condizionamenti a cui sono sottoposti.   

La sorpresa e la gioia per l’elezione del nuovo Papa si è sentita anche tra i cattolici cinesi. Abbiamo potuto seguire la diretta in tarda notte attraverso un’app dedicata e fare i primi timidi commenti online, che in questo caso si sono concentrati soprattutto sul nome scelto e sulla traslitterazione cinese. Siamo poi tornati al consueto silenzio.

Inutile nascondere che pensieri “geopolitici” si sono annidati nelle prime reazioni (perlomeno nelle mie), pensando a che cosa potesse significare la nazionalità del Papa per il futuro della Cina. Ma in questo campo la Chiesa cinese è maestra di libertà.

Nessuno ha fatto un commento allusivo al riguardo; un prete mi ha detto "io neanche sapevo che non ci fosse mai stato un Papa statunitense" mentre una ragazza "non ti saprei dire nemmeno da dove venissero gli altri". Certo, la questione “geopolitica” esiste ed è ben chiara a tutti, ma l’esperienza cinese dell’essere cristiano è un’esperienza che assume già in quanto tale la tensione nazionalistica. Un cinese non diventa cattolico se prima non ha accettato, interiorizzato e quindi si è liberato della “tensione internazionale” che questo comporta. Una tensione che non è intellettuale ma che coinvolge la quotidianità di ognuno, sia che la fede sia vissuta pubblicamente o di nascosto.

La propaganda vorrebbe infatti far passare il concetto che essere cattolico significhi non essere pienamente cinese, ma un 'venduto agli occidentali'. I cristiani sono invece impegnati a riconciliare l’essere cinese con l’essere cristiano, senza però cadere nella sinicizzazione nazionalistica. Non è cosa banale: la pressione è altissima, se la fede non è ancorata a una vera coscienza universale ne rimane schiacciata. Si ricevere il battesimo solo se prima si è accettato di fare i conti a vita con tutto questo; si educano i figli alla fede nella consapevolezza dell’ulteriore pressione che ciò comporterà per loro, solo se si è pienamente convinti di essere pietre vive di un’universalità più grande. Un’universalità che fa fiorire le proprie radici perché mentre ama la propria cultura e per essa dà la vita, ne è al contempo accusata.

Così la Chiesa cinese testimonia ancora una volta che credere è libertà, e fa emergere l’evangelico paradosso per cui chi è in catene è talvolta più libero di chi non lo è.

Si può inoltre aggiungere una breve riflessione su quello che qui rappresenta l’America e su alcuni cambiamenti in atto al riguardo. Da un lato vi è il mainstream propagandistico del “nemico numero uno” e della superiorità cinese che deve essere sempre provata e ostentata: un modello comunicativo di successo e che attecchisce. Sottovoce però vi è anche un atteggiamento molto più aperto per cui “America” significa alterità e curiosità. L’americano allora non è il nemico ma l’esotico da scoprire, l’altro da me che vorrei conoscere. Ricordo l’eccitazione per i TikTok refugees di qualche mese fa: "finalmente cinesi e americani possono comunicare direttamente tra di loro", oppure "non vedo l’ora di sapere come vive un ragazzo universitario in America", ancora "ora passiamo far sapere che sono i governi ad avere problemi tra loro non le persone".

Tutti hanno bisogno di alterità per vivere, il desiderio di diversità non può essere soffocato a lungo, prima o poi riaffiora. L’America qui custodisce simbolicamente anche questo desiderio. Tra questi poli è possibile leggere l’accoglienza per Leone XIV, un’accoglienza in cui il Papa, e con lui la Chiesa, rappresenta uno spazio di libertà pagato a caro prezzo, che nel nome dell’unità e dell’alterità è testimone di riconciliazione.

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