07/06/2024, 17.19
INDIAN MANDALA
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Alle elezioni indiane ha vinto il pluralismo, parla il gesuita direttore dell'Indian social institute

Secondo il proefessor Sebasti L. Raj il BJP ha perso alcune circoscrizioni chiave perché si è concentrato sul discorso religioso, invece di risolvere i problemi veri della popolazione. L'opposizione non è un blocco unico e per continuare ad avere successo dovrà restare unita. Le dinamiche nuove che potrebbero nascere anche all'interno dello stesso partito nazionalista indù saranno più chiare con la formazione del governo.

New Delhi (AsiaNews) - In India ha vinto il pluralismo. Il partito del primo ministro Narendra Modi, il Bharatiya Janata Party (BJP), non è riuscito a ottenere la maggioranza per governare in solitaria come nelle tornate elettorali del 2014 e del 2019. Nonostante Modi sia stato confermato per un terzo mandato, per i prossimi cinque anni dovrà confrontarsi con due alleati influenti: il Janata Dal (United), partito regionale del Bihar, e il Telugu Desam Party, dell’Andhra Pradesh, meno interessati all’ultranazionalismo indù propagandato dal BJP negli ultimi 10 anni. E “non potrà nemmeno ignorare l’opposizione come ha fatto finora”, commenta Sebasti L. Raj, gesuita, direttore esecutivo dell’Indian Social Institute con sede a New Delhi. “Ci possiamo aspettare una minore imposizione da parte del BJP, che prima non si confrontava per nulla con l’opposizione, mentre ora per restare al potere dovrà accogliere anche le opinioni differenti”.

La National Democratic Alliance ha ottenuto 293 seggi, di cui 240 sono andati al BJP. Una differenza notevole rispetto al 2019, quando il BJP da solo aveva superato i 300 seggi dei 543 disponibili della Lok Sabha, la Camera bassa del Parlamento indiano. L’opposizione, guidata dal Congress, ha conquistato 232 seggi, soprattutto in circoscrizioni che appartenevano al BJP.

All’interno del partito del premier potrebbero emergere nuove voci: “Modi è il leader del partito da diversi anni, tutte le voci di dissenso finora sono state silenziate. Ma oltre al fatto che sta invecchiando (ha 73 anni), anche il fatto che ora si dovrà confrontare con leader forti probabilmente spingerà altri a farsi avanti e parlare”. Al momento però è difficile immaginare una successione alla leadership. “Molte cose saranno più chiare una volta che sarà annunciata la formazione di governo”, spiega il professor Raj. Modi presterà giuramento per iniziare il nuovo mandato il 9 giugno e “dai nomi scelti per le cariche istituzionali si capirà che compromessi ha fatto il BJP per tenere insieme la maggioranza”.

Sono stati gli Stati grandi e popolosi a dettare la nuova direzione che potrebbe prendere il Paese. “L’Uttar Pradesh, il Maharashtra, il West Bengal e il Tamil Nadu - ha ricordato il professor Raj - sono quelli in cui il BJP ha fatto peggio, e ora sarà interessante vedere come andranno le elezioni per le assemblee legislative locali”.

“Negli Stati del Sud il BJP non ha presa perché l’amministrazione locale ha più autonomia. Questo ha permesso anche un maggiore sviluppo. Il governo centrale dovrebbe fare il minimo in settori come l’educazione e l’istruzione e decentrare più possibile i poteri. Il BJP, invece, voleva imporre una lingua e una religione a un Paese, l’India, che è sempre Stato plurale. Esiste una ricchezza economica, ma secondo me la vera ricchezza del nostro Paese sta nella diversità culturale”, ha commentato il gesuita.

E forse è proprio per questo che i partiti regionali, sia all’interno della maggioranza che all’interno del blocco dell’opposizione, sono emersi come i veri nuovi protagonisti di queste elezioni. “Il BJP ha perso in una serie di circoscrizioni chiave perché ha parlato troppo di religione e troppo poco di questioni pratiche e concrete che interessavano ai cittadini: la disoccupazione, le prospettive per i giovani, la sicurezza alimentare. Soprattutto dopo la pandemia, i ricchi sono diventati ricchissimi, ma i poveri si sono impoveriti ancora di più. La costruzione dei templi e le preghiere non bastano, le persone hanno problemi veri da risolvere”.

Ad Ayodhya, in Uttar Pradesh, dove Modi aveva inaugurato un tempio indù dedicato al dio Ram, ha prevalso l’opposizione, che però “non è un blocco unico”, ha continuato il professor Raj. “Già il fatto che l’alleanza (chiamata INDIA) abbia retto è in realtà un grande risultato, perché a gennaio stava per sfaldarsi. Spero che restino uniti per il loro bene e quello della nazione, perché è l’unico modo per contrastare il BJP. Molti temono che Modi tenti di dividere i partiti che si sono alleati con il Congress, in questo caso rischia di collassare tutto”. 

Al contrario, il partito che ha guidato l’India dopo l’indipendenza, dovrebbe cercare di costruire il proprio futuro a partire da questa nuova base. “Sicuramente il Congress ha avuto successo perché si è rivolto alla popolazione citando problemi concreti, non hanno solo parlato del rischio che una maggioranza dominata dal solo BJP avrebbe potuto cambiare la Costituzione”, ha detto Raj. “Però devono tornare a costruire un nuovo sostegno partendo dal basso, la gente chiede un cambio radicale che comporta scelte coraggiose da parte dei politici. Se gli indiani non hanno votato per il BJP è perché quello che era stato promesso non è stato poi realizzato. Il movimento di opposizione è stato spontaneo, possiamo dire, la gente aveva voglia di cambiare perché ha bisogno di qualcuno che agisca per il popolo”, ha continuato il professore.

“Le minoranze - non solo quelle religiose come i cristiani o i musulmani, anche le minoranze etniche e linguistiche dell’India - possono tirare un sospiro di sollievo”, ha continuato il direttore dell’ISI. “Ora speriamo che vengano rispettate le differenze che caratterizzano l’India”, ha ribadito il gesuita. “In questa situazione mi viene in mente una frase di Jawaharlal Nehru, il primo ministro indiano dopo l’indipendenza, che diceva che era importante ascoltare l'opposizione, anche fosse stata composta da un uomo solo. Ecco, in questo modo il nostro Paese potrebbe progredire lentamente, ma progredirà di sicuro sulla via della democrazia”.

 

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