I patriarchi dopo la visita a Gaza: 'Aiuti umanitari sono questione di vita o di morte'
A Gerusalemme la conferenza stampa di ritorno dalla parrocchia della Sacra Famiglia colpita dall'esercito israeliano. Il card. Pizzaballa: "Abbiamo visto uomini per ore sotto il sole nella speranza di un pasto: umiliazione moralmente inaccettabile e ingiustificabile. Ma Cristo non è assente da Gaza: è in ogni mano tesa verso chi soffre". Teofilo III: "Alla comunità internazionale diciamo: il silenzio di fronte alla sofferenza è un tradimento della coscienza”.
Gerusalemme (AsiaNews) - "Gli aiuti umanitari non sono solo necessari: sono una questione di vita o di morte. Rifiutarli non è un semplice ritardo, ma una condanna. Ogni ora senza cibo, acqua, medicine e riparo provoca danni profondi. Lo abbiamo visto: uomini che resistono per ore sotto il sole nella speranza di un pasto semplice. È un'umiliazione difficile da sopportare quando la si vede con i propri occhi. È moralmente inaccettabile e ingiustificabile”.
Ha parlato di quello che ha visto con i propri occhi il card. Pierbattista Pizzaballa nelle giornate trascorse nella Striscia di Gaza dopo l’attacco di giovedì scorso dell’esercito israeliano alla chiesa della Sacra Famiglia. Non testimonianze di seconda mano, ma dati di fatto constatati di persona insieme al patriarca greco-ortodosso Teofilo III, nella visita seguita a quello che il governo Netanyahu ha definito l’errore di un “proiettile vagante” che ha provocato la morte di tre persone nel complesso dell’unica parrocchia cattolica.
Insieme Pizzaballa e Teofilo hanno tenuto questa mattina un’attesa conferenza stampa a Gerusalemme; con loro erano presenti anche i rappresentanti di tutte le Chiese cristiane presenti in Terra Santa, a testimonianza dell’unità di tutte le confessioni oggi nel chiedere la fine delle sofferenze per Gaza. “Siamo entrati come servi del Corpo sofferente di Cristo – ha detto Teofilo - camminando tra i feriti, gli afflitti, gli sfollati e i fedeli la cui dignità rimane intatta nonostante la loro agonia. La missione della Chiesa nei tempi di devastazione – ha aggiunto - è radicata nel ministero della presenza, nello stare accanto a chi è nel lutto, nel difendere la sacralità della vita e nel testimoniare la luce che nessuna oscurità può spegnere. E alla comunità internazionale – ha aggiunto ancora il patriarca greco-ortodosso - diciamo: il silenzio di fronte alla sofferenza è un tradimento della coscienza”.
“Siamo tornati da Gaza con il cuore spezzato – gli ha fatto eco il card. Pizzaballa -. Ma anche incoraggiati dalla testimonianza di tante persone che abbiamo incontrato. Siamo entrati in un luogo di devastazione, ma anche di straordinaria umanità”. Durante la conferenza stampa hanno mostrato le immagini delle rovine, degli edifici crollati, delle tende piazzate ovunque: nei cortili, nei vicoli, per le strade e sulla spiaggia. “In mezzo a tutto questo – ha commentato il patriarca latino - abbiamo incontrato qualcosa di più profondo della distruzione: la dignità dello spirito umano che si rifiuta di spegnersi. Abbiamo incontrato madri che preparavano il cibo per gli altri, infermiere che curavano le ferite con dolcezza, e persone di tutte le fedi che continuavano a pregare il Dio che vede e non dimentica mai. Cristo non è assente da Gaza. È lì - crocifisso nei feriti, sepolto sotto le macerie, eppure presente in ogni atto di misericordia, in ogni candela accesa nell’oscurità, in ogni mano tesa verso chi soffre”.
I due patriarchi hanno ripetuto di essersi recati a Gaza “non come politici o diplomatici, ma come pastori” e che “la nostra missione non è per un gruppo specifico, ma per tutti. I nostri ospedali, rifugi, scuole, parrocchie - San Porfirio, la Sacra Famiglia, l’Ospedale arabo Al-Ahli, Caritas - sono luoghi di incontro e condivisione per tutti: cristiani, musulmani, credenti, dubbiosi, rifugiati, bambini”.
“Sosteniamo - ha detto il card. Pizzaballa - il lavoro di tutti gli operatori umanitari (locali e internazionali, cristiani e musulmani, religiosi e laici) che rischiano tutto per portare vita in questo mare di devastazione umana. E oggi alziamo la voce con un appello ai leader di questa regione e del mondo: non può esserci futuro basato sulla prigionia, sullo sfollamento dei palestinesi o sulla vendetta. Deve esserci una via che restituisca la vita, la dignità e tutta l’umanità perduta. Non trasformiamo la pace in uno slogan – ha concluso - mentre la guerra resta il pane quotidiano dei poveri”.
Parole che giungono proprio mentre l’estensione dell’offensiva di terra israeliana a Deir al-Balah sta aggravando ulteriormente la situazione a Gaza. E il giorno dopo la dura risposta del ministero degli Esteri israeliano all’appello di 28 Paesi tra cui Gran Bretagna, Francia, Italia, Australia e Giappone a “porre fine alla guerra subito” e a garantire il diritto umanitario. Richieste rigettate al mittente come “lontane dalla realtà” e “messaggio sbagliato” ad Hamas.
L’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani ha riferito che, al 21 luglio, ha registrato 1.054 persone uccise a Gaza mentre cercavano di procurarsi del cibo, di cui 766 uccise “nei pressi” di siti della contestata Gaza Humanitarian Foundation, e 288 “vicino a convogli di aiuti dell’ONU e di altre organizzazioni umanitarie”. “I nostri dati si basano su informazioni provenienti da molteplici fonti affidabili sul campo, inclusi team medici, organizzazioni umanitarie e per i diritti umani. Sono ancora in fase di verifica secondo la nostra rigorosa metodologia,” si legge in una dichiarazione.
Parlando al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite anche il Segretario generale dell’Onu, António Guterres, ha affermato oggi che l’“orrore” vissuto dai palestinesi a Gaza è senza precedenti negli ultimi anni. Commentando l’intensificarsi delle operazioni israeliane ha detto che “alla devastazione si sta aggiungendo ulteriore devastazione,” con il sistema umanitario ormai “al suo ultimo respiro”.