05/03/2024, 08.45
ASIA CENTRALE
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La Russia contro le ong dell'Asia Centrale

di Vladimir Rozanskij

Il ministro della Difesa Šojgu - scagliandosi contro quanti contrastano la presenza di Mosca "nei Paesi tradizionalmente nostri amici" - equipara terroristi dell'Isis e grandi ong filo-occidentali. Mentre il Kirghizistan approva una legge "sulle organizzazioni non commerciali" fotocopia di quella russa che mette nel mirino i finanziamenti stranieri.

Mosca (AsiaNews) - Il ministro della difesa russo Sergej Šojgu ha inveito durante una riunione del Collegio di difesa al Cremlino contro le Ong dell’Asia centrale, colpevoli a suo parere di “far crescere in continuazione le attività ostili contro la Russia”, soprattutto nella “creazione di nuove iniziative e strutture finalizzate a screditare e contrastare la presenza russa nei Paesi tradizionalmente nostri amici”. Secondo il capo della difesa russa, la situazione in questa regione è “molto delicata”, ricordando la minaccia contemporanea dei talebani dell’Afghanistan e dei terroristi dell’Isis, a cui egli equipara proprio le opere delle organizzazioni non governative.

Šojgu ricorda che “in questi Paesi agiscono oltre 100 grandi ong filo-occidentali, che hanno più di 16 mila rappresentanze e filiali, che si propongono di indebolire la collaborazione tecnico-militare, economica e culturale con la Federazione russa, sullo sfondo dell’operazione militare speciale, e dobbiamo fare qualcosa”. Il ministro è in qualche modo uno specialista del settore, avendo ricoperto già dai tempi di Eltsin il ruolo di capo della protezione civile in Russia, e nei primi anni putiniani si dedicò in modo specifico alla “liberazione” della Russia dalle tante iniziative di assistenza e volontariato sostenute e finanziate dagli occidentali, considerate un pericolo per la sicurezza e la stabilità interna del Paese. Oggi Šojgu è uno dei principali personaggi russi “sanzionati” dall’Occidente.

Ora non è chiaro quale tipo di iniziative i russi intendono riversare su queste realtà, in Paesi stranieri come quelli dell’Asia centrale, pur ancora molto legati a Mosca. Secondo il consigliere norvegese del Comitato Helsinki Ivar Dale “mettere insieme gli attivisti umanitari con i terroristi è un’affermazione ridicola, che non merita di essere commentata”. Secondo l’esperto, parlando degli effetti delle pressioni di Šojgu sul Kirghizistan, “a Biškek capiscono benissimo di che cosa egli stia parlando”, in quanto le organizzazioni contro cui egli si scaglia “non lavorano contro la Russia, ma in difesa dei diritti umani, e la Russia è proprio uno dei Paesi dove questi diritti vengono sistematicamente violati”.

Il Comitato Helsinki ha analizzato in una recente relazione il flusso degli articoli sotto sanzione, che raggiungono la Russia attraverso il Kazakistan, il Kirghizistan, l’Armenia e altri Paesi. Queste informazioni sono state trasmesse a Bruxelles, discusse con le autorità di Kiev e dei Paesi ex-sovietici della Csi. Dale afferma che “siamo lieti che la società civile dell’Europa e del Kirghizistan dialoghino allo scopo di individuare gli strappi nella rete del regime sanzionatorio”. Oggi però preoccupa il tentativo di Biškek di imporre una legge “sui rappresentanti stranieri” analoga a quella degli inoagenty in Russia, ed è evidente che “dietro questa legge molto discussa ci sia la mano di Mosca”.

Il 22 febbraio il Žogorku Keneš, il parlamento kirghiso, ha approvato un’altra legge “sulle organizzazioni non commerciali”, collegata a quella sui rappresentanti stranieri, che potrebbe limitare molto le attività di associazioni che operano nel settore dell’istruzione e della formazione, toccando tematiche delicate come la parità di genere e tante altre questioni sociali, nonostante le assicurazioni formali degli autori della legge. Secondo il politologo Emil Džuraev, le parole di Šojgu dimostrano “casualmente o intenzionalmente” l’interesse della Russia a questo dibattito interno alla società kirghisa, anche senza nominare i progetti di legge.

L’istituto di analisi legali Adilet di Biškek conferma che “la legge attualmente in discussione ricalca al 98% quella russa”, approvata a Mosca nel 2012 e resa sempre più stringente nelle successive modifiche, e che riguarda qualunque attività non commerciale che sfrutti finanziamenti stranieri, tanto più se svolge attività di rilievo sociale e politico. I giuristi osservano che in questo approccio punitivo non si specifica quali siano i criteri che identificano la dipendenza da fonti estere, ciò che dà alle autorità locali un ampio arbitrio nell’applicazione di misure restrittive, colpendo ogni tipo di attività fino a quelle di assistenza caritativa o di cura ambientale ed ecologica.

Oltre al Kirghizistan, le repressioni contro gli “agenti stranieri” si sviluppano in varia misura in tutti i paesi dell’Asia centrale, anche senza leggi esplicite come in Kazakistan, e con iniziative di diversi livelli in Uzbekistan, Tagikistan e Turkmenistan, sempre con grandi spinte da parte della Russia per “difendere i Paesi amici dall’invasione occidentale”.

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