Papa a Bruxelles: 'cessi il fuoco' in Libano. Sugli abusi nella Chiesa: 'Il male non si nasconde'
Concluso il 46° viaggio apostolico con un appello per la pace in Medio Oriente: "Si rilascino gli ostaggi e si permetta l’aiuto umanitario". Ricordata la 110a Giornata del Migrante e Rifugiato: all'Europa "appello a considerare il fenomeno migratorio come una opportunità". Sugli abusi: "Nella Chiesa c’è posto per tutti, ma tutti saremo giudicati".
Bruxelles (AsiaNews) - Ultimo giorno del 46esimo viaggio apostolico di Papa Francesco tra Belgio e Lussemburgo. Stamattina ha presieduto la celebrazione eucaristica a Bruxelles, di fronte a 40mila fedeli nello stadio intitolato a Re Baldovino, che nel 1992 non firmò la legge sull’aborto: “Avvierò il processo di beatificazione”, ha detto il Pontefice. Al termine della Messa, anche la recita dell’Angelus, nel quale oltre ai ringraziamenti ai reali e a quanti hanno collaborato per la riuscita del viaggio - “in modo speciale agli anziani e ai malati che hanno offerto le loro preghiere” - anche l’apprensione per le sofferenze del Medio Oriente. “Il Libano è un messaggio, ma in questo momento è un messaggio martoriato, e questa guerra ha effetti devastanti sulla popolazione: tante, troppe persone continuano a morire giorno dopo giorno”. La preghiera levata dal Santo Padre è stata “per le vittime, per le loro famiglie, preghiamo per la pace”.
“Chiedo a tutte le parti che si cessi immediatamente il fuoco in Libano, a Gaza, nel resto della Palestina, in Israele. Si rilascino gli ostaggi e si permetta l’aiuto umanitario. Non dimentichiamo la martoriata Ucraina”, ha continuato. Il “dono della pace” è stato invocato anche “per la martoriata Ucraina, per la Palestina e Israele, per il Sud Sudan, il Myanmar e tutte le terre ferite dalla guerra”. Ricordata all’inizio del commento che ha preceduto la preghiera mariana la 110a Giornata mondiale del Migrante e del Rifugiato, sul tema “Dio cammina con il suo popolo”. “Da questo Paese, il Belgio, che è stato ed è tuttora meta di tanti migranti, rinnovo all’Europa e alla comunità internazionale il mio appello a considerare il fenomeno migratorio come una opportunità per crescere insieme nella fraternità”, è stato il commento di Bergoglio. “Invito tutti a vedere in ogni fratello e sorella migrante il volto di Gesù che si è fatto ospite pellegrino in mezzo a noi”.
Durante l’omelia Papa Francesco, a partire dal brano odierno del Vangelo (Mc 9,38-43.45.47-48) ha concentrato l’attenzione sul monito di Gesù: “Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare” (Mc 9,42). Ha proceduto mettendolo a fuoco attraverso tre parole chiave: apertura, comunione e testimonianza. Sulla prima il Santo Padre ha detto: “La Comunità dei credenti non è una cerchia di privilegiati, è una famiglia di salvati, e noi non siamo inviati a portare il Vangelo nel mondo per i nostri meriti, ma per grazia di Dio”. E ancora: “Non dobbiamo risentirci, ma piuttosto rallegrarci del fatto che anche altri possano fare ciò che facciamo noi, perché cresca il Regno di Dio e per ritrovarci tutti uniti, un giorno, tra le braccia del Padre”. Questa la speranza per una Chiesa aperta.
Sulla seconda parola, comunione, Francesco ha condannato l’egoismo in quanto è ciò che “impedisce la carità, è scandaloso perché schiaccia i piccoli, umiliando la dignità delle persone e soffocando il grido dei poveri”. A tal proposito una riflessione è stata dedicata alle persone abusate, alcune delle quali incontrate dal Santo Padre durante questo viaggio apostolico appena giunto al termine. “Li ho sentiti (i “piccoli”, ndr), ho sentito la loro sofferenza di abusati. E lo ripeto qui: nella Chiesa c’è posto per tutti, tutti, tutti, ma tutti saremo giudicati. E non c’è posto per l’abuso, non c’è posto per la copertura dell’abuso”. Sono seguite parole forti, stando su uno dei temi - quello degli abusi sessuali, di potere e di coscienza - che più gettano ombre sulla Chiesa. “Chiedo a tutti: non coprire gli abusi. Chiedo ai vescovi: non coprire gli abusi. Condannare gli abusati e aiutarli a guarirsi di questa malattia dell’abuso. Il male non si nasconde. Il male va portato allo scoperto”. E ancora: “Che sia giudicato l’abusatore, sia laica, laico, prete o vescovo”.
In riferimento all’ultima parola, testimonianza, Papa Francesco ha ricordato l’esempio di Anna di Gesù, al secolo Anna de Lobera (1545-1621). “Questa donna è stata tra le protagoniste, nella Chiesa del suo tempo, di un grande movimento di riforma, sulle orme di una gigante dello spirito, Teresa d’Avila”, ha spiegato. “Lei e le sue compagne, con la loro vita semplice e povera, fatta di preghiera, di lavoro e di carità, hanno saputo riportare alla fede tante persone”, ha aggiunto. Indicando l’ispirata testimonianza di questa “santità al femminile”, “un modello delicato e forte, fatto di apertura, di comunione e di testimonianza”. “Raccomandiamoci alla sua preghiera, imitiamone le virtù e rinnoviamo con lei il nostro impegno a camminare insieme sulle orme del Signore", ha concluso.
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