08/09/2011, 00.00
MYANMAR – ONU
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Ban Ki-moon condanna il governo birmano per i detenuti politici

Il segretario generale Onu apprezza le timide riforme avviate da Naypyidaw, ma chiede la liberazione degli oltre duemila prigionieri di coscienza. Dubbi sulla reale efficacia della neonata Commissione nazionale per i diritti umani. Gli stati Uniti nominano un rappresentante speciale.
Yangon (AsiaNews/Agenzie) – Il segretario generale delle Nazioni Unite lancia un monito al governo birmano: le recenti riforme avviate da Naypyidaw – fra cui la nascita di una Commissione nazionale per i diritti umani – sono un passo incoraggiante, ma gli oltre duemila prigionieri politici ancora oggi rinchiusi nelle carceri del Myanmar “minano la fiducia” nel regime. Intanto gli Stati Uniti hanno nominato un rappresentate speciale per il Myanmar, che avrà anche il compito di coordinare le politiche e i rapporti con la leadership del Paese. Derek J. Mitchell avrà il rango di ambasciatore e il compito di riallacciare i rapporti dopo oltre due decenni di gelo diplomatico fra Usa e Myanmar.

In un documento preparato il 5 agosto ma diffuso solo ieri, Ban Ki-moon afferma che il rilascio di Aung San Suu Kyi – all’indomani delle elezioni “farsa” del novembre scorso – ha concesso al Paese una possibilità di indirizzarsi “sulla strada del progresso”. Egli giudica altrettanto positivi i tentativi del presidente Thein Sein – nominato da un Parlamento in cui dominano ancora militari ed ex membri dell’esercito – di riformare la politica e l’economia. Tuttavia, il segretario generale Onu invoca una “attuazione tempestiva” delle riforme annunciate, perché il Myanmar continua a patire problemi economici, politici e umanitari “gravi, radicati nel profondo e di vecchia data”. Fra le principali emergenze, Ban Ki-moon ricorda la questione irrisolta dei prigionieri politici e di coscienza, che ancora oggi affollano le carceri birmane. Una realtà che “continuerà a oscurare e minare la fiducia negli sforzi messi in campo dal governo”, secondo quanto ha scritto il diplomatico sud-coreano.

Di recente il governo birmano ha raccolto l’appello dell’inviato speciale Onu per il Myanmar, Tomas Ojea Quintana, dando vita a una Commissione nazionale per i diritti umani, chiamata a indagare su abusi e violazioni. Essa è formata da 15 elementi, fra cui ex ambasciatori, alti funzionari e studiosi. Tuttavia appare poco probabile che il nuovo organismo possa davvero risollevare le sorti di una popolazione oppressa da decenni di dittatura militare. La timida proposta di affidare ad Aung San Suu Kyi la presidenza della Commissione pare già tramontata, perché un colonnello dell’esercito ha giudicato la Nobel per la pace “inadatta” all’incarico.

Intanto Stati Uniti e Myanmar lavorano per riallacciare i rapporti diplomatici, congelati dal colpo di Stato dei militari del 1988 che hanno determinato l’ascesa al potere del generalissimo Than Shwe e le sanzioni economiche e commerciali Usa. In questi giorni Derek J. Mitchell, rappresentante speciale del governo americano, ha in programma una serie di incontri ad alto livello – leader politici e della società civile – tra Yangon e Naypyidaw. Tuttavia, la Lega nazionale per la democrazia (Nld) sembra essere relegata ai margini della partita: Nyan win, leader Nld, sottolinea che le sole informazioni sul viaggio le ha lette sui media e, al contempo, giudica “poco probabile” un cambiamento “immediato” della politica Usa verso il Myanmar.
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