28/05/2004, 00.00
MALAYSIA
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Borneo, nasce la Chiesa fra i dayak

di Piero Gheddo

Comunità vivaci, con molte conversioni ma afflitte dalla scarsità di preti e suore. I gruppi tribali chiedono il battesimo e rifiutano l'islam. Un reportage di padre Piero Gheddo, che sarà pubblicato integralmente sul prossimo numero di "Mondo e Missione" di giugno-luglio 2004.

Kuching (AsiaNews) - Il Borneo è fra le più estese isole del mondo (la terza) ed appartiene alla Malaysia. Estesa due volte e mezzo l'Italia, conta solo 15 milioni di abitanti. Un vero paradiso di natura incontaminata. Di questa grande isola quasi solo le regioni costiere sono abitate, l'interno è ancora in parte da esplorare: vi abitano i dayak, i nativi che stanno uscendo dalla preistoria ed entrano nel mondo moderno.

L'aspetto più interessante del viaggio è stata la scoperta di una Chiesa che sta nascendo, come quella degli Atti degli apostoli. Delle cinque diocesi del Borneo malaysiano ne ho visitate tre (Kuching, Kota Kinabalu e Keningau, oltre alla prefettura apostolica del Brunei). Ovunque comunità giovani e vivaci, la cui crescita è frenata dalla scarsità di sacerdoti e di suore: i cristiani sono di recente conversione e generano con difficoltà persone consacrate a vita. Il governo proibisce l'entrata di missionari dall'estero.

P. Christopher Laden della diocesi di Kuching (capitale dello Stato di Sarawak), spiega perché i dayak si convertono al cristianesimo: "Perché Gesù Cristo e la Chiesa spiegano chi è Dio e promettono la vita eterna. Noi dayak crediamo in Dio creatore, ma non sappiamo chi è, se è buono o cattivo, se ci ama o non si cura di noi. E pensiamo che dopo la morte non c'è più niente. Il cristianesimo ci dà questa speranza. Il secondo motivo è sociologico: diventando cristiani entriamo in una comunità che aiuta e crea fraternità, mentre l'antica comunità tribale sta scomparendo. Noi dayak rifiutiamo l'islam, è troppo lontano dalla nostra mentalità, non si combina con le nostre credenze".

L'arcidiocesi di Kuching ha circa 150 mila cattolici con 25 preti e dieci parrocchie, di cui cinque in città. La parrocchia di Serian, molto estesa, ha 36 mila cattolici per tre preti, con circa 80 cappelle. Il parroco, padre James Meehan, scozzese, dice che ogni anno ha circa 500 battesimi di adulti convertiti. Gli chiedo come fa a prepararli."Fanno tutto i catechisti e i laici dei vari movimenti", dice.

Il parroco di Bunan Gega, John Chung, ha 500 battesimi all'anno, di cui 200 di bambini figli di cattolici e 300 di adulti convertiti. Lui e il prete suo collaboratore hanno una cinquantina di cappelle da curare. Visitandola, questa regione dei dayak pare sia tutta cattolica. In ogni villaggio c'è una cappella. I musulmani sono pochi nelle regioni forestali fuori di Kuching, le conversioni all'islam avvengono per matrimonio, per commercio, perché promettono facilitazioni nella scuola, nel trovare un lavoro. I nativi optano per il cristianesimo, dice John Chung, perché "quando incontrano Cristo sperimentano che cambia la loro vita personale, familiare e di villaggio".

A Keningau (Sabah), il vescovo Cornelius Piong osserva: "La mia diocesi ha 12 preti per più di 90 mila cattolici e dieci seminaristi, ogni anno circa 1.500 battesimi di adulti. Preti e suore sono troppo pochi. Affidiamo molti compiti ai laici e alle comunità ecclesiali di base: i catecumeni entrano nelle comunità e vengono preparati al battesimo con la parola e l'esempio e anche con impegni di servizio alla parrocchia. Qui nel Sabah i cristiani sono liberi di evangelizzare, convertire indigeni e cinesi, costruire chiese e altri edifici religiosi e assistenziali".

Trent'anni fa nel Borneo malaysiano c'era un sacerdote ogni 3 mila cattolici, oggi uno ogni 8 mila. La diocesi di Kota Kinabalu ha 26 sacerdoti in attività pastorale su 220 mila fedeli e poco meno di  4 mila battesimi all'anno, metà dei quali di adulti convertiti. Quello dei dayak che si convertono alla Chiesa cattolica (e alle Chiese protestanti) è un movimento massiccio, ma se ci fossero più preti, suore, catechisti e mezzi economici, la missione sarebbe in grado di accogliere e formare tutti i nativi che vogliono entrare nell'ovile di Cristo.

Padre William Sabang, vicario generale dell'arcidiocesi di Kuching e rettore del seminario, dice che i cristiani del Borneo possono insegnare qualcosa alle nostre Chiese antiche:"I nostri cristiani, avendo pochi preti, fin dall'inizio si sono organizzati per le necessità delle loro comunità: riunioni di preghiera, catechesi, carità. S'è creata una tradizione e i cattolici sanno che debbono dare il loro tempo alla Chiesa. Inoltre, sono animati da spirito missionario, portano la parola di Dio, parlano di Gesù Cristo e del Vangelo, invitano a venire alla Chiesa. Ogni parrocchia ha centinaia di battesimi di adulti all'anno, che vengono proprio per iniziative dei credenti. Stando in Italia a volte mi stupivo di come i credenti si lamentano della Chiesa, ma fanno poco per evangelizzare, non prendono iniziative, aspettano tutto dal parroco. Il motivo per cui i nostri cristiani sono più attivi e più ferventi credo sia questo: in genere sono di recente conversione, pochi vengono da famiglie cattoliche. Quindi sperimentano nella loro vita la rivoluzione positiva portata da Cristo nella famiglia e nella comunità in cui vivono. Sentono la diversità del vivere con Cristo o senza Cristo. Questo li rende entusiasti della fede e pronti a fare grandi sacrifici per servire la Chiesa".

 

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