23/06/2008, 00.00
GIORDANIA
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Cristiani e musulmani: libertà religiosa per evitare il conflitto delle civiltà

di Bernardo Cervellera
Prima giornata del raduno del Comitato scientifico di Oasis sulle difficoltà ad applicare una vera libertà di religione nell’incontro fra cristiani e musulmani. A tema le conversioni e la testimonianza pubblica delle comunità. Le paure e le chiusure da entrambi i lati.

Amman (AsiaNews) – È urgente trovare una “terza via” per il dialogo fra cristianesimo e islam, che sfugga al “trionfalismo” chiuso in se stesso, ma anche al relativismo nei confronti della verità; è importante leggere i segni nuovi di apertura nel mondo musulmano (visita in Vaticano del re d’Arabia saudita; aperture al dialogo fra le religioni monoteiste; franchezza maggiore negli incontri fra cristiani e musulmani); è fondamentale non perdere il contatto con le situazioni attuali in cui versano le comunità cristiane nei Paesi a maggioranza islamica. Queste sono alcune delle sollecitazioni venute dalla prima giornata dell’incontro del Comitato scientifico del Centro Oasis, in corso ad Amman dal 22 al 25 giugno.

Voluto dal card. Angelo Scola, patriarca di Venezia, il Centro Oasis è di fatto una rete di rapporti fra personalità cristiane e musulmane di tutto il mondo, che coinvolge accademici, autorità ecclesiastiche, studiosi, ecc. Al raduno del Comitato scientifico quest’anno sono presenti circa 80 cardinali, vescovi, professori universitari, giornalisti da Europa, Africa del Nord, Medio oriente, Asia del sud, Estremo oriente, Stati Uniti. Il tema che si vuole affrontare quest’anno è “La libertà religiosa: un bene per ogni società”. Esso comprende questioni molto dibattute come la libertà di espressione della propria fede; la possibilità di convertirsi da una religione a un’altra; la collaborazione per una società più giusta.

Nel suo discorso introduttivo, il card. Scola ha messo in luce anzitutto le tentazioni esistenti nel mondo sul modo di concepire la “libertà religiosa”: una libertà assoluta, disinteressata alla verità (che crea un “supermarket delle religioni” e una banalizzazione delle scelte); una chiusura ideologica in un proprio sistema di verità che disprezza l’altro; la crescita di comunità religiose diverse dalla maggioranza come un attentato alla sicurezza sociale; infine, l’accettazione di una libertà religiosa privata e intima, ma che non deve apparire in pubblico. Citando il discorso di Benedetto XVI alle Nazioni Unite (18 aprile 2008), il patriarca Scola ha sottolineato che la libertà religiosa non è solo “libero esercizio al culto; al contrario, deve essere tenuta in giusta considerazione la dimensione pubblica della religione e quindi la possibilità dei credenti di fare la loro parte nella costruzione dell’ordine sociale”.

Le vie per attuare una solida difesa della libertà sono state appena abbozzate. Il prof. Nikolaus Lobkowitcz (Eichstätt, Germania), ha svolto un interessante excursus storico sul modo in cui l’occidente ha praticato la libertà religiosa e su come la Chiesa cattolica ha resistito a questo concetto, fino alla dichiarazione Nostra Aetate del Concilio Vaticano II.

Il prof. Khaled Abd ar-Ra’ûf al-Jaber, dell’università di Petra (Giordania), musulmano, ha mostrato le difficoltà attuali a un dialogo nella verità e nella libertà: le religioni usate per fini politici; l’ignoranza e il pregiudizio sui presupposti religiosi dell’altro. Egli ha anche sottolineato che il dialogo sulla libertà religiosa è urgente per scongiurare l’idea di un futuro da “scontro delle civiltà” e ha indicato nell’idea di una “fraternità in Adamo” la possibilità di un solido incontro islamo-cristiano, che giunga fino ad eliminare “l’assoggettamento reciproco” e la “colonizzazione”, per “rimuovere l’ingiustizia e la persecuzione”.

Per correggere l’ignoranza e aiutare la collaborazione, il prof. Hanna Nu’ mân, di Amman, ha proposto che nelle scuole (anche nei Paesi a maggioranza islamica) si studino tutte le religioni, suggerendo un impegno comune nella “solidarietà” di fronte alle violenze.

Durante la discussione, mons. Maroun Lahham, vescovo di Tunisi, ha mostrato alcuni segni di speranza nel mondo islamico e cristiano: meno manifestazioni violente; schiettezza nel dialogo (nella “verità e nella carità”, senza nascondere ciò che ci divide); accettazione di principio che un credente possa cambiare religione, anche se vi è rifiuto della spettacolarizzazione delle conversioni. Fra i segni negativi, egli ha anche ricordato un “indurimento” delle posizione dello stato algerino (proibizione delle conversioni e dell’evangelizzazione), ma ha anche notato un “indurimento” nelle posizioni di alcune conferenze episcopali, in cui si avverte “una certa stanchezza di fronte all’islam, di diffidenza, a volte anche di paura”: la stessa diffidenza che si nota in diversi Paesi musulmani.

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