03/04/2007, 00.00
ISRAELE - PALESTINA
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Custode di Terra Santa: Pasqua a Gerusalemme, i segni di vita più forti del sepolcro e della morte

P. Pierbattista Pizzaballa racconta di un ex generale israeliano che si incontra a parlare di Gesù con un ex partigiano palestinese, di associazioni e scuole interconfessionali. La festa insieme agli ortodossi, “una meravigliosa babilonia”. La Chiesa di Gerusalemme, segnata dall’emigrazione, rimane nei Luoghi Santi a nome di tutti i cristiani del mondo.

Gerusalemme (AsiaNews) -  In questi giorni in cui “tutto il mondo guarda a Gerusalemme”, al luogo che è madre di tutti i cristiani del mondo, la Chiesa di Gerusalemme ha “un messaggio di vita e di speranza” per il mondo intero. Pasqua non è tanto un “piegarsi pietoso sul sepolcro” e sulla morte, ma ricevere “un nuovo slancio” , “riconoscere il Volto del Signore”, “spezzare il pane con Lui”, per poi spezzarlo “con ogni uomo”, ovunque c’è bisogno.

Così p. Pierbattista Pizzaballa, ofm, Custode di Terra Santa, spiega ad AsiaNews il senso della Pasqua, della morte e resurrezione di Gesù per i cristiani di Terra Santa e per il mondo intero. Di fronte a tutti i segni di morte e di violenza che si accumulano in Israele, Palestina, Libano, il padre francescano afferma che “è Dio a dire l’ultima parola su tutte le situazioni di morte e di paura” che dominano in Medio oriente e la “sua ultima parola è di speranza”. A prova di questo, p. Pizzaballa cita esempi di rapporti, amicizia, fraternità che nascono fra israeliani e  palestinesi, fra cristiani, musulmani ed ebrei. E cita il caso di un incontro sulla persona di Gesù, a cui hanno partecipato “un ex generale israeliano e un ex partigiano palestinese”. Questi piccoli segni di speranza “sono forse pochi”, aggiunge il Custode, ma sono “un piccolo punto dal quale si può partire. In fondo, anche quando Gesù è risorto, i discepoli erano pochi e un po’ traballanti nella fede”. Ecco l’intervista che p. Pizzaballa ha concesso ad AsiaNews.

Padre Custode, che senso ha la Pasqua qui a Gerusalemme, dopo un anno di guerre israelo-libanesi, guerre intestine fra i palestinesi?

Guardando in prospettiva, bisogna dire che qui le guerre ci sono da tanto tempo.  Quest’ultimo anno è stato certo molto pesante e difficile, ma il significato della Pasqua è sempre lo stesso: la Pasqua è la festa della Vita, la resurrezione. È Dio che dice l’ultima parola su tutte queste situazioni di morte e di paura, e la Sua è una parola di vita, di speranza. Anche di fronte alla guerra del Libano, alle tensioni del mondo palestinese, le tensioni tra israeliani e palestinesi, il significato della Pasqua è che nonostante tutto bisogna continuare a credere nella bontà dell’uomo. Questa bontà è il riflesso della bontà di Dio. Nell’uomo certamente c’è la cattiveria, il male e Satana esiste. Ma l’ultima parola di Dio è una parola di vita, di bene.

Ma di fronte alla violenza, alla guerra, questa speranza non sembra un po’ lontana?

Forse. In apparenza, la morte, la guerra, le divisioni sembrano toccarci con più evidenza. Ma stando qui, vivendo in questa realtà, ci si accorge che oltre alla divisione c’è anche tanta condivisione; che oltre alla morte, vi sono anche tanti segnali di vita e di speranza di molta gente che nonostante tutto continua a vivere, credere e scommettere nel rapporto con l’altro. Vi sono associazioni israeliane e palestinesi che si incontrano; scuole che si gemellano; ragazzi musulmani, cristiani e anche ebrei che studiano insieme; gente che continua a credere nella convivenza. Questi piccoli segni di vita e di speranza, forse - questo lo concedo - sono pochi. Ma sono un piccolo punto dal quale si può partire. In fondo anche quando Gesù è risorto, i discepoli erano pochi e un po’ più traballanti nella fede.

Un piccolo esempio: di recente c’è stato un convegno di studio, organizzato da un’associazione israelo-palestinese che ha messo insieme cristiani, ebrei e musulmani. Lo studio era sulle radici cristiane della nostra società, fatto in collaborazione con i salesiani. Erano poche decine di persone, un gruppo piccolissimo, ma si sono incontrati un ex generale israeliano e un ex partigiano palestinese. L’ex generale era governatore dei Territori occupati; l’ex partigiano ha lottato per la causa palestinese, è stato in carcere per molto tempo, ha avuto vittime fra i membri della sua famiglia. Eppure si sono incontrati per parlare di Gesù.

E qual è l’impatto che ha una cosa del genere?

Immediatamente sembra non averne. Il cuore sembra fermarsi soprattutto di fronte ai segni della politica, della guerra… Ma tutti questi scossoni vanno un po’ sopra la testa, perché la vita concreta ha le sue esigenze ed urgenze, fra cui vi è la speranza. A quell’incontro, tutti hanno capito che bisognava cambiare strada, strategia, linguaggio. Perfino in una situazione difficile come a Gaza, separata da tutto, anche là non vi è soltanto morte, ma anche persone e associazioni che lavorano per la vita.

Quest’anno vi è un’unica data della Pasqua per cattolici e ortodossi…

Se devo essere sincero, da un punto di vista strettamente, pratico, la differenza di data fra cattolici e ortodossi è molto comoda: meno pellegrini, meno traffico, celebrazioni al Santo Sepolcro svolte con maggiore tranquillità. Dal punto di vista umano e spirituale è molto bello che tutti siano in festa, piacevolmente agitati. La Pasqua, poi, ha un significato simile per ebrei e per cristiani – pur con le dovute differenze. Per gli ebrei è la festa della liberazione, del passaggio dalla schiavitù alla libertà, che si celebra nel Seder. Noi celebriamo lo stesso passaggio nella notte di Pasqua.

Sono previsti alcuni momenti insieme con gli ortodossi?

Le celebrazioni sono rigorosamente separate, anche se si faranno contemporaneamente. Sarà quella che io definisco “una meravigliosa babilonia”. Il mattino della domenica delle Palme – ad esempio - noi latini celebravamo davanti all’edicola del Santi Sepolcro; i copti celebravano la stessa cosa dietro all’edicola. Ma credo che i copti non sentissero nulla di quello che dicevano; e noi non capivamo niente di quello che dicevamo noi…

Tutti i riti e l’uso della chiesa del Santo Sepolcro seguono con esattezza le regole dello status quo, creato alla fine del ‘700 sotto l’impero ottomano. A quel tempo la veglia pasquale si celebrava al sabato mattina. E noi facciamo così. La cerimonia de fuoco avviene prima per noi e poi per gli ortodossi.

I cristiani di Terra Santa diminuiscono sempre di più per l’emigrazione all’estero. Qual è la vostra missione?

La nostra missione è quella di stare qui in questi luoghi, che sono importanti per tutti i cristiani. Tutto il mondo guarda a Gerusalemme, ma Gerusalemme deve guardare a tutto il mondo cristiano. Noi siamo qui, preghiamo qui e siamo in unione con tutta la Chiesa e per conto di tutta la Chiesa.

E ricordiamo a tutti che Pasqua  non è solo un piegarsi pietoso sul sepolcro, una sorta di omaggio di pietà. Il messaggio della Pasqua è un messaggio di slancio, sapere riconoscere il Volto del Signore, spezzare il pane con Lui, per spezzare il pane con qualunque uomo, con qualunque volto noi incontriamo, lì dove c’è un bisogno.

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