02/09/2005, 00.00
CINA – STATI UNITI
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Hu Jintao negli Stati Uniti: questione energia in primo piano

Pechino (AsiaNews) – Alleviare "il dolore causato dalla crescente domanda energetica, la diminuzione delle riserve ed il seguente aumento dei costi" tramite una "cooperazione a livello mondiale in campo energetico". E' questo, secondo il parere di esperti ed analisti economici, l'obiettivo principale della prima visita ufficiale di Hu Jintao negli Stati Uniti, prevista per il 7 settembre.

Nel corso del viaggio, che dovrebbe durare 13 giorni (compresa una visita a Canada e Messico), Hu incontrerà personalità politiche ed industriali, studenti (è previsto un suo discorso a Yale) ed alte cariche militari, ma il punto centrale del viaggio è senza alcun dubbio la mattinata di colloqui ed il pranzo privato con George W. Bush, presidente degli Stati Uniti. He Yafei, direttore del Dipartimento "America" del ministero cinese degli Affari esteri, dice: "I 2 leader parleranno soprattutto di energia. L'idea principale è quella di accordarsi per sviluppare e rafforzare una collaborazione sino-americana in questo campo".

La visita di Hu segue una serie di conflitti aperti fra Pechino e Washington su energia, tessile, "questione Taiwan" e sul tasso di cambio della moneta cinese (yuan). Quello energetico è però il problema più pressante per entrambi i capi di governo. Sia Cina che Stati Uniti sono schiacciati dalla politica e dalle speculazioni energetiche internazionali che hanno gonfiato il prezzo di carburanti: è Bush che ha però più interesse a frenare la corsa di Pechino verso i mercati energetici di Asia centrale, America del sud ed Africa. L'unico modo per fermare l'espansione cinese in queste zone geografiche è – secondo alcuni esperti statunitensi – "una consistente fetta del mercato americano e medio-orientale".

Il governo cinese - forte di un'economia che non solo cresce, ma non riesce a rallentare – ha cercato di ottenere energia con l'acquisizione di compagnie petrolifere estere. Gli Stati Uniti (primo consumatore mondiale di petrolio) si sono però opposti alla manovra e ad inizio agosto i 2 governi sono arrivati allo scontro diretto sul caso dell'acquisizione della Unolocal (grande compagnia petrolifera californiana) da parte della Cnooc (China National Offshore Oil Company Ltd); la prima infatti, oltre a disporre di importanti giacimenti, possiede avanzate tecnologie per l'estrazione in acque profonde, la cui cessione preoccupa gli ambienti militari statunitensi. Il veto americano all'acquisto ha creato proteste in ambito internazionale ma la situazione è rimasta in stallo. Pechino ha ritenuto la mossa "già vista e ripetibile" da parte Usa: già 2 anni fa una politica congiunta du Shell ed Exxon Mobil (compagnie americane) avevano impedito alla Cnooc di acquistare petrolio e gas in Kazakhistan.

Nel corso dell'anno Pechino ha preparato un "piano di fuga" dal protezionismo americano attuando una piena espansione in altre zone del mondo. Data la politica americana, la Cina ha trovato infatti "giusto" tessere rapporti commerciali con Iran e Venezuela, contro i quali gli Usa desiderano invece imporre limitazioni nel commercio.

In occasione del 5° summit della Shanghai Cooperation Organization (Sco) – incontro fra i leader di Cina, Russia, Kazakhistan,  Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan e, nel ruolo di osservatori, Shaukat Aziz, premier del Pakistan, e Natwar Singh, ministro degli esteri indiano – Hu Jintao ha definito "auspicabile" la collaborazione fra gli Stati membri della Sco ed ha aggiunto che vi sono "veramente buone possibilità" che la cooperazione "avvenga in ogni ambito di interessi tra gli Stati membri". Alla conclusione dei lavori i membri si sono accordati per la creazione di oleodotti per il trasporto di petrolio e gas naturale dagli Stati caucasici verso Oriente. In giugno Pechino si è accordata con il Cile per lo sfruttamento congiunto di miniere di rame: l'accordo ha un valore di 550 milioni di dollari Usa.

Shang Ma, analista di Fitch Ratings, ritiene al momento "possibili" interventi cinesi per il controllo di società in Indonesia e Australia; queste, secondo l'esperto, sarebbero considerate "meno minacciose dalle majors petrolifere mondiali e dai governi esteri".

"Con questi dati ben chiari alla leadership americana - continua l'editorialista - la questione energetica assume anche un valore rilevante dal punto di vista del "peso" cinese in zone del mondo che non hanno ottimi rapporti con Washington. Consentire a Pechino la creazione di un nuovo "blocco" anti-americano tramite fattori economici legati all'energia diventa quindi la conclusione da evitare ad ogni costo".

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