11/05/2024, 08.55
MONDO RUSSO
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Il regno eterno dello zar vittorioso

di Stefano Caprio

In passato Putin aveva dichiarato più volte di non avere intenzione di rimanere al potere a vita, ma questo tema è stato ormai da tempo accantonato. E in occasione dell'inaugurazione dell'ennesimo mandato presidenziale il patriarca Kirill ha invocato su di lui "la benedizione di Dio fino alla fine della vostra esistenza e fino alla fine dei tempi, come usiamo dire".

Il patriarca di Mosca Kirill (Gundjaev) ha rivolto un saluto al presidente Vladimir Putin, in occasione dell’inaugurazione-incoronazione dell’ennesimo mandato presidenziale e dell’anniversario della Vittoria su ogni nemico, augurandogli di rimanere al potere do skončanija veka, un’espressione presa dalla liturgia analoga a quella latina in saecula saeculorum. Forse il patriarca intendeva semplicemente indicare un “mandato a vita” per lo zar-presidente, che mai come quest’anno ha esaltato la solennità dell’autocrazia con i tappeti e le fanfare del Cremlino, ma l’eccesso di zelo è stato talmente evidente che la sala stampa del patriarcato ha tagliato la frase dal comunicato che riportava il testo del patriarca.

La benedizione imperitura è risuonata la sera del 7 maggio al Cremlino nella cattedrale dell’Annunciazione, la cappella privata degli zar davanti al cui altare si stagliano le splendide serie di sacre immagini dei più grandi iconografi della storia russa, Teofane il Greco e Andrej Rublev, dove il presidente ha presenziato al Moleben, la litania augurale del patriarca. La preghiera di Kirill ha invocato l’intera schiera celeste e “la benedizione di Dio, la protezione della Regina del cielo siano con voi fino alla fine della vostra esistenza e fino alla fine dei tempi, come usiamo dire, e ho l’ardire di aggiungere che, a Dio piacendo, la fine del secolo significhi anche la fine della vostra permanenza al potere, poiché voi avete tutto quanto serve per compiere a lungo e con successo il vostro servizio alla Patria”. Nel testo diffuso dalla sala stampa la frase è stata ridotta alla “fine della esistenza” del presidente, e anche dal video del Moleben su YouTube è stata tolta la profezia escatologico-presidenziale.

In ogni caso Kirill si è rivolto al presidente con il titolo di vaše prevoskhoditelstvo, “vostra eminenza”, come era consuetudine riguardo ai membri della famiglia regale, aggiungendo che “per la grande misericordia di Dio il nostro tempo è stato gratificato dal fatto che a capo dello Stato russo c’è una persona di fede ortodossa, che non si vergogna della propria fede”. Secondo il patriarca, molti russi vedono in Putin “una persona molto buona, intelligente e di cuore”, anche se lo ha esortato a “non essere soltanto buono, ma anche severo, poiché il capo dello Stato deve prendere a volte decisioni fatidiche e groznye”, che si può tradurre con “clamorose” o meglio con “minacciose”, ribadendo l’analogia tra Putin e Ivan Groznyj, il “terribile” o appunto il “minaccioso”. Aggiungendo che “se non si assumono queste scelte drammatiche, le conseguenze potrebbero essere estremamente pericolose per il popolo e per lo Stato, e spesso si tratta di decisioni che comportano anche delle vittime”. Oltre all’accenno al primo zar cinquecentesco, il discorso patriarcale ha richiamato le gesta eroiche del principe Aleksandr Nevskij, che “non ebbe paura dei nemici ed è stato glorificato come santo”, senza peraltro aggiungere riferimenti diretti alla guerra in Ucraina.

A questo punto, secondo le nuove regole costituzionali approvate in modalità decisamente “poco ortodossa” nel 2020, Putin potrà guidare la Russia fino al 2036, quando compirà 84 anni, in caso di ulteriore rielezione nel 2030. La maggioranza dei sovrani della storia russa, principi, zar o segretari di partito, sono rimasti in sella fino alla fine della loro esistenza, ad esclusione dell’ultimo imperatore-martire Nicola II e del segretario Nikita Khruščev, spodestato da Brežnev e compagni per restaurare l’ordine staliniano. Dopo la fine dell’Urss si sono succeduti gli infelici governi di Mikhail Gorbačev (1985-1991) e di Boris Eltsin (1992-1999), per non parlare della presidenza “transitoria” di Dmitrij Medvedev tra il 2008 e il 2012, dove di fatto Putin governava come primo ministro, anche in questo imitando lo zar Ivan il Terribile che “designava” altri personaggi quando si ritirava nei possedimenti intorno a Mosca. In passato Putin aveva dichiarato più volte di non avere intenzione di rimanere al potere a vita, ma questo tema è stato ormai da tempo accantonato.

L’assunzione alla dimensione eterna ha spinto invece il presidente russo a sentirsi totalmente padrone della storia, tanto che il primo ukaz firmato dopo l’incoronazione è stato proprio “Sulla giusta determinazione e trasmissione della storia”, riducendo ogni espressione della scienza storica a pura propaganda. In tutte le scuole del Paese, a cominciare dagli asili, anzi dalle favole dei genitori per addormentare i neonati, si dovranno inculcare le immagini dei santi principi e degli zar ortodossi, senza trascurare “l’eroismo sovietico” così spesso oltraggiato dai barbari occidentali, che non vogliono riconoscere a Stalin e al maresciallo Žukov l’intero merito di aver liberato il mondo dal nazismo di Hitler. Questa è infatti la grande motivazione della Festa della Vittoria del 9 maggio, ricordando le armate che entrarono a Berlino il giorno dopo la firma dell’armistizio tra i tedeschi e gli alleati, senza aspettare il trionfo dei russi; per questo nel resto d’Europa si ricorda l’8 maggio, tranne la “liberazione” italiana del 25 aprile.

Nel resto d’Europa e del mondo questa non è certo l’occasione per le parate militari sulle piazze, piuttosto quella di accendere un cero alla memoria dei milioni di caduti, come quest’anno hanno fatto perfino i “fedelissimi” sudditi dell’Asia centrale, i cui presidenti hanno fatto da contorno a Putin con i suoi generali nella contemplazione dei carri armati, mentre nelle loro capitali le grottesche parate erano state annullate. Molto inquietanti sul palco che nascondeva il mausoleo di Lenin, al fianco o alle spalle degli asiatici, erano i volti di alcuni tra i più mostruosi protagonisti degli assalti in Ucraina, come il generale Vladislav Volodin che affiancava Putin insieme al giovane presidente-figlio del Turkmenistan, Serdar Berdymukhamedov, “ospite d’onore” alla sua prima volta sulla piazza Rossa. Volodin era il comandante che ha assaltato Mariupol a marzo 2022, conquistando il record del massimo numero di vittime civili, e dietro a lui si mostrava trionfante il comandante ceceno Ramil Ibdatullin, che incitava i suoi soldati a marcare la vittoria stuprando le donne, dando il buon esempio violentando personalmente una ragazza incinta, che ha quindi perso il bambino.

Il giorno dopo la sfilata degli orrori, il capo supremo ha compiuto invece un gesto che dimostra la “superiorità democratica” della Russia rispetto al mondo intero: ha proposto alla Duma la candidatura del primo ministro, che è poi lo stesso Mikhail Mišustin già in carica da gennaio del 2020, l’anno della nuova costituzione escatologica che ha affidato ai deputati l’approvazione del governo. Prima era direttamente la presidenza a decidere, oggi il sovrano si rivolge ai “rappresentanti del popolo”, perché così appunto funziona la “democrazia ortodossa”: tutti per uno e uno per tutti, in una comunione mistica che difende il popolo dalle deviazioni delle minoranze, che trascinerebbero la Santa Russia nelle dipendenze dai poteri oscuri come avviene nel derelitto Occidente.

Il nuovo-vecchio governo dovrà anzitutto occuparsi della realizzazione dei majskye ukazi, i “decreti di maggio” emanati dal presidente, a cominciare dalla diffusione capillare della giusta versione della storia. Secondo tradizione, questi proclami del giorno più solenne indicano “gli scopi nazionali dello sviluppo della Federazione russa”, in questo caso “per il periodo fino al 2030 e su una prospettiva più ampia, fino al 2036”. Il padrino del Cremlino ha promesso ai russi di innalzare la quota dello stipendio minimo, portandolo da 20 mila rubli a 35 mila (circa 350 euro), assicurando che entro il 2030 la Russia salirà almeno al quarto posto mondiale per il volume del suo prodotto interno lordo. Egli ha inoltre annunciato che i russi non soltanto saranno sempre più ricchi, ma vivranno più a lungo, portando l’età media a 78 anni entro il 2026 e a 81 nel 2036. I giovani devono quindi essere grati del luminoso futuro che li aspetta, e dimostrarlo “occupandosi sempre più attivamente delle iniziative sociali e di volontariato”, naturalmente condendo il tutto con una salsa patriottica sempre più densa e distribuita nelle mille iniziative di sostegno alla Madre Patria. Del resto, tutti saranno premiati anche con l’allargamento dei metri quadri di casa, 33 a testa nel 2030 e 38 mq nel 2036, una promessa che Putin ripete dal 2007 senza che sia stato aggiunto un centimetro.

La vuota retorica dei majskye ukazi riprende quella dei roboanti piani quinquennali di sovietica memoria, con 7 scopi principali e 84 progetti da realizzare, più 6 grandi indicatori affidati al nuovo governo, tra cui l’inserimento della Russia “tra i 25 Paesi del mondo più avanzati nella robotizzazione e nel corretto uso dell’intelligenza artificiale”, esaltando la sua “leadership tecnologica” e abolendo definitivamente la povertà. In fondo non serve neppure indicare le date di realizzazione di questi disegni provvidenziali, essendo ormai affidati al regno dell’eternità.

 

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