05/01/2013, 00.00
CAMBOGIA
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P. Pierre Rapin, martire sotto i Khmer Rossi e la "viva" comunità cattolica della Cambogia

di Luca Bolelli
Durante l'invasione dei Khmer Rossi,il missionario francese aveva scelto di rimanere al fianco dei suoi fedeli. Dopo il suo omicidio, la cattolica Yei Niang ha tramandato a figli, nipoti e amici la testimonianza del sacerdote, per "non perdere la speranza nonostante tutto attorno fosse tenebra". Da un missionario del PIME in Cambogia.

Phnom Penh (AsiaNews) - "Rimarrò fino a quando ci sarà anche solo uno di voi": p. Pierre Rapin, missionario francese in Cambogia 40 anni fa, diceva così ai suoi fedeli durante gli sconvolgimenti portati da Pol Pot, quando il vescovo gli aveva suggerito di spostarsi in una zona più sicura. Ucciso dai Khmer Rossi, con la sua testimonianza il sacerdote ha reso la comunità di oggi "viva e piena di speranza". In occasione del Natale e del nuovo anno, p. Luca Bolelli, 38 anni, missionario del Pontificio istituto missioni estere (Pime) in Cambogia da sei anni, racconta ad AsiaNews alcuni episodi della vita di Yei Niang, donna cambogiana che conosceva p. Rapin, e a cui i Khmer Rossi hanno portato via il marito, lasciandola sola a crescere tre figli. Oggi, Niang alleva i suoi quattro nipoti ed è "un esempio di forza per tutto il villaggio".

Carissimi Amici,

è tradizione di ogni famiglia ritrovarsi insieme in occasione del Natale, ne approfitto anch'io a per venirvi a trovare anche se in ritardo...  e condividere un po' di Cambogia. È il mio regalo, spero sia gradito.

Qualche giorno fa, Yei Niang (v. foto) mi raccontava di quando è stato ucciso padre Rapin. Sono passati 40 anni ma quel ricordo in lei è ancora molto vivo. Era una notte di fine febbraio, i Khmer Rossi già da alcuni mesi avevano occupato la nostra zona, con loro c'erano anche le truppe Vietkong alleate in una guerra comune contro l'America. Padre Pierre Rapin era arrivato a Kdol da un paio d'anni, dopo aver servito a lungo le comunità cristiane vicine al confine col Vietnam. Essendo francese, era considerato dai Khmer Rossi un nemico del popolo, lo sapeva bene. Le comunicazioni con il resto del Paese erano state interrotte, la missione di Kdol Leu era rimasta isolata, e solo tramite alcune lettere recapitate di nascosto p. Rapin riusciva a scambiarsi notizie con l'esterno. L'ultima la ricevette mons. Lesouef, si trattava più che altro di un biglietto: "I cristiani mi hanno chiesto di rimanere. Rimango. Sia fatta la volontà di Dio". Il vescovo gli aveva suggerito di lasciare la missione e spostarsi in una zona piú sicura, ma prima di rispondere  P. Rapin aveva voluto chiedere il parere ai suoi cristiani. Al termine di una intensa riunione disse loro: "Rimarrò finché ci sarà anche uno solo di voi", e scrisse al vescovo. Non passarono molti giorni che una bomba venne posta accanto alla parete della sua stanza per ucciderlo. I cristiani accorsero subito, Niang era tra loro. Arrivata, vide p. Rapin gravemente ferito, ma ancora vivo, mentre veniva trasportato all'ospedale locale. Gli stessi Khmer Rossi che avevano messo la bomba lo stavano ora portando via con la scusa di curarlo, poche ore dopo ne avrebbero invece restituito il cadavere. Sapendo prossima la sua fine, p. Rapin aveva detto ai cristiani: "Non cercate vendetta... li ho già perdonati".

A quell'epoca Yei Niang era una giovane mamma di tre figli. Il marito,​ un uomo molto buono, si prestava volentieri ad aiutarla nei lavori di casa. Un giorno i Khmer Rossi lo portarono ad un incontro, da cui non avrebbe più fatto ritorno. Era il modo abituale di epurare i nemici del popolo, e Nai, in quanto cristiano, era tra questi. Il cristianesimo era considerato una religione straniera, occidentale, e automaticamente i nostri cristiani erano catalogati tra gli amici degli americani, nonché spie della CIA (sigla di cui Yei Niang ignora il significato ancora oggi).

Niang rimane vedova. A sostenerla una grande fede. La chiesa era stata distrutta dai bombardamenti, p. Rapin ucciso, e tutti i libri e le immagini religiose bruciati. Ma lei, insieme alla madre, continua a pregare nel silenzio della sua casa o nelle risaie, lontane da orecchie indiscrete, cantando inni e salmi. Dovranno passare vent'anni prima che sia possibile per i cristiani ritrovarsi di nuovo a pregare pubblico. È allora che Niang decide di costruire una piccola cappella di bambú di fianco a casa, dandosi da fare per radunare i cristiani in occasione delle visite dei missionari.

Mentre Yei Niang mi racconta, sento le grida dei nipoti che vivono con lei. Sono i bimbi della sua figlia primogenita. Il piú scatenato di tutti é Sophi, soprannominato "A Uot", cioè "la peste", con i suoi capelli sempre scombinati (recentemente ha messo da parte un po' di soldini per comprarsi il gel e farsi la cresta!), e in continuo movimento. Ha 6 anni ed è l'ultimo dei tre maschi. La piú piccola di tutti è Srey Uon: ha un bel caratterino anche lei, ma almeno non é in perenne lite con gli altri fratelli. I primi due invece sembrano dei veri angioletti, devono aver preso dal nonno perché a casa aiutano in tutto, fanno da mangiare, pascolano le mucche e incredibilmente... non vanno male a scuola! Questi quattro marmocchi vivono con la nonna, perché i genitori non sono in grado di prendersene cura, il papá si trova ora in Thailandia a lavorare come clandestino (al villaggio era perennemente ubriaco) e la mamma da diversi anni soffre di una grave malattia agli occhi. Yei Niang ha quindi deciso di prendersi cura lei di questi bimbi, ma è un'impresa non facile, le forze diminuiscono e spesso è malata. Chiede solo una cosa al Signore: di poter vivere fino a quando i suoi nipoti non saranno abbastanza grandi per farsi una vita da soli. Quest'anno dietro il suggerimento di alcuni cristiani, Sok-hiang, il secondogenito, è andato a studiare a Phnom Penh presso il centro Don Bosco dei Salesiani. È un bimbo dal sorriso travolgente, quando torna al villaggio vuole sempre fare il chierichetto. In questi giorni è a casa per un attacco di febbre Dengue, ma sta già meglio. Viene da pensare che se la sia fatta venire apposta per fare il Natale a casa! Il più grande, Sok-eng, è anche il più tranquillo di tutti, è sempre molto pacato, ma quando prende in mano un pallone si scatena. Nella recita di Natale ha fatto il soldato di Erode, mentre "A Uot" era uno dei pastori... cosa che mi aveva un po' preoccupato, c'era da aspettarsi di tutto, invece alla fine è stato molto bravo.

Yei Niang è un grande esempio al villaggio, la sua opinione è richiesta e ascoltata. Agli incontri del Consiglio Pastorale non manca mai, anche se tante volte le vedo ciondolare la testa appesantita dalla stanchezza. Anche la domenica a Messa viene sempre, e le composizioni di fiori che decorano  la chiesa sono opera sua. Immancabilmente ogni sabato pomeriggio fa il giro del villaggio questuandoli casa per casa. E non manca mai di preparare un vaso anche davanti alle spoglie mortali di p. Rapin. A Natale, dopo la Messa, le abbiamo trasferite nella nuova cappella costruita, apposta accanto alla chiesa. Ho chiesto a lei di portarle.

Alcune settimane fa il gruppo giovani ha messo in scena la vita di p. Rapin, e al termine una voce diceva "Quarant'anni dopo il martirio di p. Rapin, quando tutto sembrava finito, la nostra comunità è invece viva e piena di speranza". È vero. Ed è grazie soprattutto a persone come Yei Niang che non hanno perso la speranza nonostante tutto attorno fosse tenebra. Forse anche per questo Gesù ha voluto nascere proprio in una notte.

Buon Anno a tutti e un Grazie di cuore per il vostro affetto e amicizia.

Vostro, p. Luca 

 

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