13/05/2024, 12.27
VATICANO-INDIA
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Papa concede ai siro-malabaresi la giurisdizione sui migranti indiani in Medio Oriente

Ricevendo in udienza una delegazione guidata dal nuovo arcivescovo maggiore Raphael Thattil il pontefice ha espresso pubblicamente il suo assenso a una richiesta avanzata da anni dalle Chiese d’Oriente, soprattutto per i propri fedeli del Golfo Persico. Nuovo duro ammonimento sulle divisioni intorno alla liturgia in Kerala: “Discutere di dettagli celebrativi mancando di rispetto all’unità è incompatibile con la fede cristiana".

Città del Vaticano (AsiaNews) - Papa Francesco ha deciso di concedere alla Chiesa siro-malabarese la giurisdizione sui migranti indiani appartenenti a questo rito che vivono in Medio Oriente. Lo ha annunciato lui stesso, questa mattina, in un’udienza concessa in Vaticano al nuovo arcivescovo maggiore, Mar Raphael Thattil, eletto nel gennaio scorso dal Sinodo di questa antica Chiesa d’Oriente che ha la sua sede in Kerala, accompagnato da un gruppo di fedeli. “Ho detto a Sua Beatitudine di chiedere la giurisdizione per tutti i vostri migranti in tante parti del Medio Oriente – ha detto il pontefice nel suo discorso -. Ho detto che devono chiedere la giurisdizione con le carte, ma io oggi ho dato già la giurisdizione e possono agire con questo. Si deve fare anche tramite le carte, ma da oggi potete”.

La richiesta della giurisdizione sui propri fedeli è un tema che da anni pongono le Chiese orientali cattoliche per le centinaia di migliaia di migranti che vivono nel Golfo Persico, volto di una Chiesa mosaico di lingue e riti finora guidata dai due vicariati apostolici dell’Arabia, che sono di rito latino. Già al Sinodo per il Medio Oriente nel 2010 il tema emerse con forza, ma si scontrò con la necessità di mantenere l’unità tra le diverse comunità che a Dubai, Abu Dhabi, nel Kuwait o in Bahrein formano un volto unico ed inedito della Chiesa migrante. Ora, però, papa Francesco - che ha visitato personalmente queste comunità nel 2019 e nel 2022 - ha deciso di accordare la giurisdizione alla Chiesa siro-malabarese, che è una delle comunità con il maggior numero di fedeli nel Golfo.

Ricordando che le “tradizioni orientali sono tesori imprescindibili nella Chiesa” e ripercorrendo la storia di “testimonianza fino al martirio” dei cristiani eredi dell’apostolo Tommaso in India, il pontefice ha aggiunto spiegando la sua scelta: “Io desidero aiutarvi, senza però sostituirvi, proprio perché la natura della vostra Chiesa sui iuris vi abilita, oltre che ad un esame attento delle varie situazioni, anche ad adottare i provvedimenti opportuni per affrontare con responsabilità e coraggio evangelico, fedeli alla guida dell’arcivescovo maggiore e del Sinodo, le prove che state attraversando. È quello che vuole la Chiesa: fuori da Pietro, fuori dall’arcivescovo maggiore non è Ecclesia”.

Si tratta di parole che vanno lette anche alla luce dell’altro grande tema su cui papa Francesco è voluto tornare nell’incontro di questa mattina: lo scontro sulla liturgia che da tempo divide dolorosamente la Chiesa siro-malabarese, con il clero e gran parte dei fedeli dell’arcidiocesi di Ernakulam-Angamaly che rifiutano di celebrare l’Eucaristia con il “rito unificato” adottato ormai quasi tre anni fa dal Sinodo locale. “Negli ultimi tempi ho indirizzato delle lettere e ho rivolto ai fedeli un videomessaggio per avvertirli della pericolosa tentazione di volersi concentrare su un dettaglio, a cui non si vuole rinunciare, a discapito del bene comune della Chiesa - ha ricordato il pontefice -. È la deriva dell’autoreferenzialità, che porta a non sentire nessun’altra ragione se non la propria. Ed è qui che il diavolo, il divisore, si insinua, contrastando il desiderio più accorato che il Signore ha espresso prima di immolarsi per noi: che noi, suoi discepoli, fossimo ‘una sola cosa’ (Gv 17,21), senza dividerci, senza rompere la comunione. Custodire l’unità, dunque, non è una pia esortazione, ma un dovere, e lo è soprattutto quando si tratta di sacerdoti che hanno promesso obbedienza e da cui il popolo credente si aspetta l’esempio della carità e della mansuetudine”.

“Lavoriamo con determinazione per custodire la comunione - ha continuato il papa rivolgendosi direttamente all’arcivescovo maggiore - e preghiamo senza stancarci perché i nostri fratelli, tentati dalla mondanità che porta a irrigidirsi e a dividere, possano rendersi conto di essere parte di una famiglia più grande, che vuole loro bene e li aspetta. Come il Padre nei riguardi del figlio prodigo, lasciamo le porte aperte e il cuore aperto perché, una volta ravveduti, non trovino difficoltà ad entrare: li aspettiamo. Ci si confronti e si discuta senza paura – questo va bene –, ma soprattutto si preghi, perché, alla luce dello Spirito, che armonizza le diversità e riconduce le tensioni in unità, si risolvano i conflitti”. “Mancare di rispetto gravemente al Santissimo Sacramento, Sacramento della carità e dell’unità, discutendo di dettagli celebrativi di quella Eucaristia che è il punto più alto della sua presenza adorata tra noi – ha però ammonito - è incompatibile con la fede cristiana. Il criterio guida, quello veramente spirituale, quello che deriva dallo Spirito Santo, è la comunione: significa verificarsi sull’adesione all’unità, sulla custodia fedele e umile, rispettosa e obbediente dei doni ricevuti”.

In particolare, papa Francesco ha invitato i siro-malabaresi a non lasciarsi “prendere dallo scoraggiamento o da un senso di impotenza di fronte ai problemi. Fratelli e sorelle – ha detto ancora - non si spenga la speranza, non ci si stanchi di aver pazienza, non ci si chiuda in pregiudizi che portano ad alimentare animosità. Pensiamo ai grandi orizzonti della missione che il Signore ci affida, la missione di essere segno della sua presenza di amore nel mondo, non scandalo per chi non crede! Pensiamo, nel prendere ogni decisione, ai poveri e ai lontani, alle periferie, a quelle in India e nella diaspora, a quelle esistenziali. Pensiamo a chi soffre e attende segnali di speranza e di consolazione”.

“So che la vita di tanti cristiani in molti luoghi è difficile – ha proseguito - ma la differenza cristiana consiste nel rispondere al male col bene, nel lavorare senza stancarsi con tutti i credenti per il bene di tutti gli uomini. Come l’apostolo Tommaso, guardiamo alle piaghe di Gesù: sono visibili ancora oggi nel corpo di tanti affamati, assetati e scartati, nelle carceri, negli ospedali e lungo le strade; toccando questi fratelli con tenerezza, accogliamo il Dio vivente in mezzo a noi. Come San Tommaso, guardiamo le piaghe di Gesù e vediamo come da quelle ferite, che avevano tramortito i discepoli e potevano gettarli in un irreparabile senso di colpa, il Signore ha fatto scorrere canali di perdono e di misericordia”.

Un parole speciale, infine, papa Francesco l’ha rivolta ai fedeli della comunità siro-malabarese di Roma, presenti all'incontro: “Da questa Chiesa, che presiede alla comunione universale della carità, siete chiamati a pregare e a cooperare in modo speciale per l’unità all’interno della vostra Chiesa, non solo nel Kerala ma in tutta l’India e in tutto il mondo. Il Kerala, che è una miniera di vocazioni! Preghiamo perché continui a esserlo”.

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