27/10/2019, 10.39
VATICANO
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Papa: Dal Sinodo amazzonico, il grido dei poveri è il grido di speranza della Chiesa

Alla messa conclusiva del Sinodo sull’Amazzonia, papa Francesco mostra i tre possibili stili di preghiera: del fariseo, del pubblicano, del povero. Oltre ai padri sinodali, presenti rappresentanti delle comunità indie amazzoniche, con i volti dipinti a festa, copricapi di piume multicolori, elaborate collane. Vi sono persone che si definiscono “cattolici”, ma in realtà sono seguaci della “religione dell’io”, che hanno dimenticato di essere “cristiani e umani”. “Siamo un po’ pubblicani… e un po’ farisei”.

Città del Vaticano (AsiaNews) – “In questo Sinodo abbiamo avuto la grazia di ascoltare le voci dei poveri e di riflettere sulla precarietà delle loro vite, minacciate da modelli di sviluppo predatori. Eppure, proprio in questa situazione, molti ci hanno testimoniato che è possibile guardare la realtà in modo diverso, accogliendola a mani aperte come un dono, abitando il creato non come mezzo da sfruttare ma come casa da custodire, confidando in Dio… Quante volte, anche nella Chiesa, le voci dei poveri non sono ascoltate e magari vengono derise o messe a tacere perché scomode. Preghiamo per chiedere la grazia di saper ascoltare il grido dei poveri: è il grido di speranza della Chiesa. Facendo nostro il loro grido, anche la nostra preghiera attraverserà le nubi”.

Così papa Francesco ha concluso la sua omelia pronunciata durante la messa celebrata oggi nella basilica di san Pietro alla fine del Sinodo speciale sull’Amazzonia. Alla messa hanno partecipato tutti i padri sinodali e gli uditori e uditrici. Fra i fedeli, vi erano rappresentanti delle comunità indie amazzoniche, con i volti dipinti a festa, copricapi di piume multicolori, elaborate collane. Alcuni di loro hanno partecipato alla processione offertoriale dei doni all'altare.

Nella sua omelia, facendo riferimento alla liturgia della domenica (30ma per anno, C), il pontefice ha mostrato i diversi tipi di preghiera suggeriti dalle letture.

Vi è anzitutto “la preghiera del fariseo” (v. vangelo, Luca 18, 9-14), che “alla fine, anziché pregare, elogia se stesso. Infatti al Signore non chiede nulla, perché non si sente nel bisogno o in debito, ma in credito. Sta nel tempio di Dio, ma pratica la religione dell’io. E oltre a Dio dimentica il prossimo, anzi lo disprezza: per lui, cioè, non ha prezzo, non ha valore. Si ritiene migliore degli altri, che chiama, letteralmente, “i rimanenti, i restanti” (“loipoi”, Lc 18,11). Sono, cioè, ‘rimanenze’, scarti da cui prendere le distanze”.

Queste “presunte superiorità, che si tramutano in oppressioni e sfruttamenti” sono presenti “anche oggi” e “l’abbiamo visto nel volto sfregiato dell’Amazzonia”. Con interventi a braccio, il papa sottolinea spesso che vi sono persone che si definiscono “cattolici”, ma in realtà sono seguaci della “religione dell’io”, che hanno dimenticato di essere “cristiani e umani”.

Vi è poi “la preghiera del pubblicano”: “Egli non comincia dai suoi meriti, ma dalle sue mancanze; non dalla sua ricchezza, ma dalla sua povertà: non una povertà economica – i pubblicani erano ricchi e guadagnavano pure iniquamente, a spese dei loro connazionali – ma una povertà di vita, perché nel peccato non si vive mai bene… E ‘si batte il petto’ (cfr v. 13), perché nel petto c’è il cuore. La sua preghiera nasce dal cuore, è trasparente: mette davanti a Dio il cuore, non le apparenze. Pregare è lasciarsi guardare dentro da Dio senza finzioni, senza scuse, senza giustificazioni. Perché dal diavolo vengono opacità e falsità, da Dio luce e verità. È stato bello e ve ne sono grato, cari Padri e Fratelli sinodali, aver dialogato in queste settimane col cuore, con sincerità e schiettezza, mettendo davanti a Dio e ai fratelli fatiche e speranze.  Oggi, guardando al pubblicano, riscopriamo da dove ripartire: dal crederci bisognosi di salvezza, tutti. È il primo passo della religione di Dio, che è misericordia verso chi si riconosce misero”.

“Se ci guardiamo dentro con sincerità – ha spiegato papa Francesco - vediamo in noi tutti e due, il pubblicano e il fariseo. Siamo un po’ pubblicani, perché peccatori, e un po’ farisei, perché presuntuosi, capaci di giustificare noi stessi, campioni nel giustificarci ad arte! Con gli altri spesso funziona, ma con Dio no… Preghiamo per chiedere la grazia di sentirci bisognosi di misericordia, poveri dentro”.

Infine vi è “la preghiera del povero”: “Essa, dice il Siracide, «attraversa le nubi» (35,21). Mentre la preghiera di chi si presume giusto rimane a terra, schiacciata dalla forza di gravità dell’egoismo, quella del povero sale dritta a Dio. Il senso della fede del Popolo di Dio ha visto nei poveri ‘i portinai del Cielo’, quel sensus fidei che mancava nella Dichiarazione finale. Sono loro che ci spalancheranno o meno le porte della vita eterna, loro che non si sono considerati padroni in questa vita, che non hanno messo se stessi prima degli altri, che hanno avuto solo in Dio la propria ricchezza. Essi sono icone vive della profezia cristiana”.

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