04/09/2023, 08.44
KAZAKISTAN
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'L'Asia centrale ostaggio di autoritarismo e pressioni geopolitiche'

di Vladimir Rozanskij

La denuncia di 200 attivisti dai cinque Paesi della regione riuniti ad Almaty a trent'anni dalle indipendenze delle repubbliche ex-sovietiche. Di fronte alla pesante crisi economica frutto dell'invasione russa dell'Ucraina e alle conseguenze sociali del cambiamento climatico cresce la repressione contro ogni voce critica dei governi. 

Almaty (AsiaNews) - Si è tenuta nei giorni scorsi ad Almaty la conferenza “Momenti di svolta in Eurasia”, organizzata dall’Ufficio per i diritti dell’uomo e il rispetto della legalità del Kazakistan, che quest’anno festeggia i trent’anni dalla sua fondazione, praticamente coetanea all’indipendenza delle repubbliche post-sovietiche di tutta l’Asia centrale. Durante l’incontro gli attivisti e gli specialisti hanno cercato di esporre con molta franchezza i problemi sociali della regione, per la soluzione dei quali “c’è poco tempo”, secondo la maggior parte degli interventi. Gli stessi organizzatori hanno chiamato gli abitanti di questi Paesi “ostaggi dell’autoritarismo interno e della pressione geopolitica esterna”.

Secondo alcuni degli esperti, le possibilità di trasformazione e adattamento si stanno assottigliando, in seguito all’espansione dell’influenza cinese e all'invasione russa del'l'Ucraina, ma soprattutto per gli effetti della crisi climatica, che sembra svilupparsi nella regione più velocemente che in altre zone del mondo. Non si può del resto negare che dal 1991 nei cinque Stati centrasiatici siano stati compiuti anche notevoli progressi, ma le sfide da affrontare rimangono ancora molto impervie, a partire dal sistema politico molto autoritario e corrotto, ereditato in gran parte dal passato sovietico.

La conferenza ha avuto una grande risonanza, con pochi precedenti, riunendo oltre 200 voci autorevoli nella più popolosa città del Kazakistan. Il direttore dell’Ufficio, Evgenij Žovtis, ha richiamato nella relazione iniziale tutti i presenti ad assumersi la responsabilità di esprimersi con franchezza sui tanti problemi aperti, riportando le valutazioni molto negative di tutti gli osservatori internazionali sull’effettiva libertà di parola negli Stati dell’Asia centrale. Un esempio è la situazione del Kirghizistan, dove sembravano essere stati raggiunti dei livelli maggiori di libertà democratiche, a cui pare che l’attuale presidente Sadyr Žaparov abbia però deciso di rinunciare, nonostante tuti i conflitti anche violenti attraversati per raggiungerli.

Di questo si è lamentata Čolpon Džakupova, direttrice dell’associazione no-profit “Clinica giuridica Adilet” di Biškek: “ci addolora e ci preoccupa in particolare la rapidità di questi passi indietro, perdendo tutto ciò che avevamo conquistato nel corso di molti anni”. Proprio durante la conferenza la procura generale del Kirghizistan ha annunciato la chiusura del sito internet Kloop, noto per le sue inchieste sulla corruzione delle élite kirghise. Sono oltre una ventina gli attivisti e i giornalisti imprigionati ormai da un anno per il dissenso sulle questioni di frontiera con l’Uzbekistan, e non si vede per loro una via d’uscita a breve termine, nonostante tante proteste.

Lo stesso Uzbekistan non ha certo confortato le speranze di chi contava su una maggiore difesa dei diritti, dopo oltre un quarto di secolo del regime autoritario di Islam Karimov. Il suo successore, Šavkat Mirziyoyev, aveva inaugurato la sua presidenza abolendo il lavoro forzato per la raccolta del cotone, ma poi è tornato in gran parte alle abitudini precedenti, con procuratori e giudici che mandano in galera i dissidenti e i giornalisti senza troppo esitare. Anche negli altri Paesi la situazione non lascia intravvedere grandi miglioramenti.

La guerra in Ucraina sta mettendo tutti i Paesi asiatici di fronte a una pesante crisi economica, a cui non riesce a sfuggire neppure il gigante cinese, con tutte le sue ambizioni di dominio sul resto del continente. Soprattutto sta creando apprensione crescente la situazione del peggioramento climatico, in una delle regioni più povere di risorse idriche di tutto il pianeta. Il Kazakistan, nono Paese al mondo per estensione territoriale, soffre di questo problema in modo particolarmente acuto, dipendendo dal corso dei fiumi che nascono in altri Paesi. Diminuiscono le acque del Volga e dell’Ural che sfociano nel mar Caspio, ormai sempre più simile allo spettro arido del lago d’Aral. Sono in corso aspre discussioni con il Kirghizistan, che ha dichiarato di non avere più riserve per i kazachi.

Secondo diversi intervenuti, tutti questi problemi di sistema e di ambiente rischiano di portare i cittadini dei Paesi dell’Asia centrale alla “discriminazione, alla persecuzione fino alle torture”, se i governi e la società civile non cercheranno insieme delle vere risposte per il futuro.

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