20/10/2022, 12.43
LIBANO - SIRIA
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Beirut, le scadenze costituzionali congelano il rimpatrio dei rifugiati siriani

di Fady Noun

Il piano, criticato da Unhcr e Ue che lo definiscono “deportazione dolce”, prevede il rientro di almeno 15mila persone al mese. La volontà è di attuarlo “nel più breve tempo possibile”. Secondo alcuni analisti ha perso però gran parte della sua priorità. L’elezione del presidente della Repubblica e del nuovo governo fondamentali per delineare le politiche future. 

Beirut (AsiaNews) - Beirut ha rinviato il piano di rimpatrio dei rifugiati siriani, che prevede il ritorno nel Paese di origine di circa 15mila persone al mese. Un'iniziativa considerata vitale per il Libano, ma criticata con forza perché vista come “una deportazione dolce” dall’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr), dall’Unione europea e da diverse ong internazionali a difesa dei diritti umani. 

Il ministro libanese per gli Sfollati Issam Charafeddine ha annunciato il 18 ottobre scorso, in una dichiarazione pubblica, che “lo Stato libanese ha deciso di non adottare il piano iniziale proposto dal ministero”. Ciononostante, questo stesso piano “sarà attivato nel più breve tempo possibile”.

In ogni caso, analisti ed esperti di politica locale ritengono che il progetto abbia perso gran parte della sua priorità, in attesa che venga risolto il problema legato alle scadenze costituzionali in Libano. Esse prevedono l’elezione di un presidente della Repubblica e la formazione di un nuovo governo, due tappe che si preannunciano tanto fondamentali quanto assai problematiche.

In via ufficiale, la questione era sorta durante la sesta conferenza sui rifugiati siriani tenuta il 9 maggio scorso a Bruxelles, durante la quale i Paesi donatori avevano fatto pressioni per l’integrazione dei rifugiati siriani nel tessuto sociale libanese. Dopo una prima reazione di shock, la delegazione libanese ha capito che la comunità internazionale, in primis gli stessi donatori, non avrebbero concesso - e per molteplici motivi - il via libera al ritorno degli sfollati siriani fuggiti dalla guerra nel Paese di origine. 

Prima di tutto perché questa stessa comunità, che ha perso la scommessa sul rovesciamento del regime siriano, non vuole consacrare questo fallimento dando una carta da spendere al presidente Bashar al-Assad. Inoltre, secondo una ipotesi non confermata, ma che circola con insistenza in alcuni ambienti politici, perché questo gran numero di sfollati siriani in Libano, in maggioranza sunniti, costituisce un elemento che potrebbe controbilanciare il potere di Hezbollah e il numero crescente di sciiti, in un quadro di incertezza e tensioni contrapposte. 

Infine, perché la guerra in Siria iniziata nella primavera del 2011 in realtà non si è ancora conclusa, anche se il regime e i suoi alleati hanno ottenuto conquiste significative. Tuttavia non hanno ancora ottenuto la vittoria finale, che potrebbe convincere la comunità internazionale a cedere per quanto concerne il dossier sui rifugiati. Il ministro Charafeddine, che si è recato a Damasco lo scorso agosto, ha chiarito di aver ricevuto tutte le garanzie e le assicurazioni dal governo siriano che i cittadini potranno tornare nel loro Paese “senza timore di rappresaglie da parte del regime”. Egli ha poi aggiunto che “un convoglio formato da 483 famiglie partirà alla fine di questa settimana” da Ersal (nel settore orientale del Libano) per fare ritorno in patria. Ma anche questo rientro sembra essere problematico: il direttore generale della Sicurezza Abbas Ibrahim, preposto all’organizzazione dei rimpatri, conferma che le autorità libanesi stanno ancora aspettando il via libera dalla controparte a Damasco prima di procedere.

Il piano di rimpatrio si sarebbe dovuto fare, secondo il ministro, in accordo con l’Unhcr e la Siria. Tuttavia, né l’Alto commissariato Onu né Damasco, ciascuno per le proprie ragioni, danno per scontato questa soluzione. La Siria vuole sfruttare il dossier per normalizzare le proprie relazioni con il Paese dei cedri, visto che Beirut non ha mai rotto ufficialmente i legami con il vicino dallo scoppio della guerra nel 2011. Al tempo stesso va ricordato che nessun rappresentante di primo piano ha più visitato ufficialmente Damasco dall’inizio della guerra civile e che quanti lo hanno fatto vi si sono recati a “titolo personale”.

Con l’organismo delle Nazioni Unite il contenzioso è di altra natura. Il Libano chiede, prima di tutto, la sospensione dei pagamenti degli aiuti mensili ai rifugiati siriani, per incoraggiarli a tornare nel loro Paese. Questi aiuti sono fonte di tensione e sono contestati dalla popolazione, secondo cui i rifugiati siriani in Libano godono di un tenore di vita superiore al loro. E sono anche visti come una volontà della comunità internazionale di naturalizzarli. Tuttavia, il Libano ha fatto capire all’Ue e all’Onu di considerarsi una “nazione di transito” e che rifiuta in modo categorico il piano europeo di integrazione sul suo territorio delle centinaia di migliaia di siriani che al momento accoglie e ospita.

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