03/09/2014, 00.00
FILIPPINE - CINA - VIETNAM
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Ambasciata e industrie cinesi nel mirino dei tre attentatori arrestati a Manila

Il gruppo è composto da nazionalisti filippini, che volevano colpire gli interessi della Cina nel Paese. Una rappresaglia per la politica “imperialista” di Pechino nel mar Cinese meridionale. La Cina chiede garanzie sulla sicurezza. Ma una seconda versione parla di organizzazione paramilitare segreta, contraria al governo Aquino.

Manila (AsiaNews/Agenzie) - I tre uomini arrestati dalle forze di sicurezza filippine nel corso di un tentativo, sventato, di colpire l'aeroporto internazionale di Manila stavano pianificando attentati all'ambasciata cinese e a un grande centro commerciale della capitale. È quanto affermano le autorità filippine, sottolineando che dietro la serie di attacchi vi era il proposito di rendere pubblico il malcontento verso Pechino, con il quale è in atto da tempo una feroce controversia nel mar Cinese meridionale. Come già accaduto in precedenza anche in Vietnam, in cui si sono registrati attacchi ad aziende e compagnie straniere con morti e feriti, ora anche nelle Filippine le controversie territoriali e le contrapposizioni economiche e commerciali potrebbero assumente una deriva violenta. 

Secondo quanto riferisce Leila de Lima, ministro filippino della Giustizia, gli arrestati affermano di essere "difensori del popolo filippino" e considerano la Cina, i filippini di origine cinese, i loro interessi commerciali ed economici, le estrazioni illegali come dei "nemici". Il trio di arrestati (di 43, 22 e 25 anni) manifesta "particolare rancore" verso il governo di Manila, accusato di mantenere una linea fin troppo "morbida" nei confronti di Pechino. Per questi essi - ma il gruppo potrebbe essere ben più numeroso - progettavano una serie di attentati contro edifici o centri legati alla Cina o alla comunità sino-filippina.  

I tre uomini verranno incriminati per terrorismo, anche se dalle prime indagini emerge che il materiale esplosivo (oltre a una pistola) a disposizione per compiere gli attentati era poco più potente di comuni fuochi d'artificio. Tuttavia l'ambasciata cinese a Manila ha chiesto al governo filippino indagini approfondite sulla vicenda e ogni azione volta a garantire "la sicurezza dell'ambasciata cinese, del suo staff e dei cittadini cinesi residenti nelle Filippine". 

Intanto emerge un'altra possibile verità sugli attentati: il trio sarebbe parte di una organizzazione segreta, composta da polizia e militari, che già nel 1980 aveva tentato il colpo di mano per destituire l'allora presidente Corazon Aquino. Oggi il capo di Stato è suo figlio, Benigno Aquino, che ha ottenuto consenso e popolarità nei cinque anni di mandato. A luglio un senatore vicino al presidente aveva ipotizzato un tentativo di una parte dei militari di destabilizzare il governo; tuttavia, i vertici dell'esercito respingono al mittente l'accusa, confermando la fedeltà ad Aquino e al suo esecutivo. 

Da tempo Vietnam e Filippine - che ha promosso una vertenza internazionale al tribunale Onu - manifestano crescente preoccupazione per "l'imperialismo" di Pechino nei mari meridionale e orientale; il governo cinese rivendica una fetta consistente di oceano, che comprende isole contese - e  la sovranità delle Spratly e delle isole Paracel - da Vietnam, Taiwan, Filippine, Brunei e Malaysia (quasi l'85% dei territori). A sostenere le rivendicazioni dei Paesi del Sud-est asiatico vi sono anche gli Stati Uniti, che a più riprese hanno giudicato "illegale" e "irrazionale" la cosiddetta "lingua di bue", usata da Pechino per marcare il territorio. L'egemonia riveste un carattere strategico per il commercio e lo sfruttamento di petrolio e gas naturale nel fondo marino, in un'area dell'Asia-Pacifico di elevato interesse per il passaggio dei due terzi dei commerci marittimi mondiali.

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