09/11/2015, 00.00
MYANMAR
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Aung San Suu Kyi trionfa alle urne: L’alba di una nuova era in Myanmar

di Francis Khoo Thwe
Nelle prime elezioni libere e inclusive degli ultimi 25 anni si profila il successo dell’opposizione, guidata dalla Nobel per la pace. Per lei possibile ruolo di premier. I vertici del partito di governo ammettono la sconfitta. Buona affluenza nello Stato Kachin, ma vi sono sacche di irregolarità. Voto negato ai Rohingya. Plauso della comunità internazionale; ma sul futuro pesa l’incognita militare.

Yangon (AsiaNews) - In Myanmar si annuncia una “vittoria schiacciante” per il partito di opposizione Lega nazionale per la democrazia, guidato dalla Nobel per la pace Aung San Suu Kyi, nelle prime elezioni inclusive e partecipate del Paese asiatico negli ultimi 25 anni. Un portavoce della Nld parla del “70% dei seggi conquistati”, anche se i vertici del partito invitano alla calma e la “Signora” stessa non vuole commentare le cifre, anche se si lascia sfuggire ai cronisti e al pubblico: “Penso che tutti voi abbiate un’idea dei risultati”. Per il movimento democratico si apre dunque la strada del governo del Myanmar, dopo la sonora sconfitta rimediata dall’esecutivo uscente guidato dallo Union Solidarity Development Party (Usdp), emanazione della ex giunta. Anche se non mancano gli inviti alla prudenza, perché l’ala militare continua - da dietro le quinte - a mantenere un ruolo di primo piano nel Paese e non sembra disposta a celebrare il cambiamento. 

Al momento sono confermati i risultati relativi ad alcuni seggi del distretto elettorale di Yangon; 35 su 36 di quelli scrutinati sono stati conquistati da esponenti della Nld. Il leader del partito di governo Usdp U Htay Oo ammette la sconfitta nel proprio seggio - distretto di Hinthada - e non nasconde che questo dato rispecchia l’andamento su scala nazionale. “Dobbiamo capire le ragioni della sconfitta - aggiunge - comunque accettiamo i risultati del voto senza alcuna remora”. Persino il quotidiano filo-governativo e semi-ufficiale Global New Light of Myanmar parla di “alba di una nuova era” per il Paese. 

Tuttavia, per capire quali saranno le reali indicazioni emerse dalle urne ci vorranno diversi giorni, forse 10 o 12; per la scelta del presidente, il voto non si dovrebbe svolgere prima di febbraio - o anche più tardi - quando si sarà insediato in via ufficiale il nuovo Parlamento. Già oggi la Commissione elettorale - bersaglio di critiche nelle scorse settimane per irregolarità, mancanza di indipendenza e problemi nella preparazione delle liste e nell’organizzazione del voto - ha posticipato di diverse ore l’annuncio dei primi risultati. 

Un quarto dei seggi sono riservati ai militari e per aggiudicarsi la maggioranza la Nld deve conquistarne almeno i due terzi. Decine di migliaia di persone sono impegnate nella conta dei voti, in ognuno dei 50mila centri in cui si è votato nella giornata di ieri. Attivisti e organizzazioni internazionali plaudono per elezioni “ben organizzate”, confermando che le operazioni si sono svolte in modo “fluido”, con alcuni casi “isolati” di irregolarità. Va però sottolineato che centinaia di migliaia di persone - su 30 milioni di votanti si è registrata un’affluenza dell’80% circa - non hanno potuto esprimere la propria preferenza. Fra quanti hanno visto negato il diritto di voto vi sono i musulmani Rohingya, minoranza dello Stato occidentale di Rakhine spesso perseguitata dalle autorità birmane e dai movimenti estremisti buddisti. 

Buona, di contro, la partecipazione al voto nelle aree abitante dalle minoranze etniche, in particolare nello Stato settentrionale Kachin teatro negli ultimi quattro anni di una sanguinosa guerra fra movimenti indipendentisti locali ed esercito nazionale. Fonti nell’area parlano di migliaia di persone pronte a sfidare l’aria gelata fin dalle prime ore del mattino a Myitkyina, capitale dello Stato Kachin, per esprimere la propria preferenza. Per molti si tratta della prima votazione e il sentimento più diffuso fra la gente è quello di “felicità”. 

In attesa dei risultati ufficiali, sembra comunque confermato il successo personale della 70enne Aung San Suu Kyi, l’icona della lotta per i diritti in Myanmar diventata, in questi ultimi anni, una politica di primo piano del panorama birmano. La “Signora” appare la principale candidata alla guida del Paese - si parla di un suo ruolo come premier - anche se non potrà rivestire la carica di presidente. Alla vigilia del voto ha lanciato la sfida al governo uscente e ai militari che, rifiutandosi di emendare una norma contra personam, le hanno di fatto impedito di concorrere alla carica di capo di Stato. La leader dell’opposizione ha annunciato che, in caso di vittoria del suo partito, sarebbe stata lei a guidare il governo e a ricoprire un ruolo “al di sopra del presidente”. 

Aung San Suu Kyi sembra dunque pronta ad assumersi l’onere - e l’onore dopo anni di lotta politica -  di guidare il Paese anche senza un preciso riconoscimento istituzionale, attraverso un esecutivo di “riconciliazione nazionale”. Del resto già nell’ottobre 2013, in una intervista esclusiva ad AsiaNews, la premio Nobel aveva affermato che “pace e unità” erano i valori attraverso i quali sarebbe stato possibile “costruire una Birmania democratica”. 

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