04/08/2025, 11.03
LIBANO
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Beirut: dal ‘cambiamento politico’ speranza di verità sulla strage al porto

di Fady Noun

Il premier Salam ha inaugurato una strada della capitale intitolata alle “vittime del 4 agosto”. La Chiesa libanese ha promosso una veglia di preghiera e benedetto 253 giovani ulivi dedicati alle vittime. In un messaggio del segretario di Stato vaticano la “vicinanza” di papa Leone XIV. Nuovi appelli per “la giustizia” e l’emergere della “rete” di responsabilità. 

 

Beirut (AsiaNews) - Con il cambiamento politico avvenuto nel gennaio 2025 e l’elezione di un nuovo capo di Stato, il quinto anniversario dell’esplosione al porto di Beirut è stato segnato quest’anno da una rinnovata speranza. L’auspicio comune è che si possa chiarire il mistero che continua ad avvolgere questa tragedia e sia resa giustizia alle famiglie delle vittime e di quanti hanno riportato ferite o devastazioni permanenti. In particolare, fra i primi obiettivi vi è quello di portare alla luce la rete di complicità che ha permesso l’ingresso e lo stoccaggio di una sostanza altamente pericolosa presente dal 2013 negli hangar del porto della capitale.

A questo si aggiunge il reale utilizzo delle 2.750 tonnellate di nitrato di ammonio che hanno causato la massiccia deflagrazione, descritta come una delle più violente fra quelle non nucleari del dopoguerra. Per diversi analisti ed esperti la sostanza sarebbe stata funzionale alla produzione di armi. Lo scoppio ha devastato un quartiere di Beirut famoso per le sue eleganti case con portico. E ha ucciso in poche ore 235 persone, ne ha ferite migliaia e ha distrutto parzialmente o totalmente circa 7mila case, imprimendo una ferita indelebile nella vita, e nell’animo dei libanesi cui lo stesso papa Francesco in passato aveva espresso a più riprese la propria vicinanza. 

Nell’occasione il presidente del consiglio dei ministri, Nawaf Salam, ha sottolineato l’impegno del governo a seguire il caso fino a quando non sarà fatta giustizia, inaugurando una strada della capitale chiamata “Via delle vittime del 4 agosto”. “Non scenderemo a compromessi - ha assicurato il leader dell’esecutivo - né sulla giustizia né sulla verità”. Il presidente Joseph Aoun ha promesso che “verità” sarà fatta “indipendentemente dagli ostacoli e a prescindere dal rango delle persone interessate”.

Al contempo il ministro libanese della Cultura Ghassan Salamé ha deciso di iscrivere i silos distrutti del porto nell’inventario generale dei monumenti storici libanesi, perché possano testimoniare nel tempo il ricordo di una memoria nazionale ferita. L’Unione Europea (Ue) ha pubblicato un comunicato in cui afferma che “porre fine all’impunità è essenziale per la ripresa” del Paese dei cedri. “Il Libano - si legge in una nota dell’ambasciata americana a Beirut - merita un sistema giudiziario indipendente e imparziale, che renda giustizia alle vittime invece di proteggere le élite”.

Impunità persistente

Alla vigilia del 4 agosto leader religiosi e sociali hanno denunciato la persistente impunità e il rifiuto di figure politiche e giudiziarie - apparentemente complici nell’introduzione e stoccaggio nel porto di questo materiale esplosivo - di comparire davanti al giudice istruttore. Anche la Chiesa libanese ha promosso momenti di ricordo e preghiera, organizzando ieri sera una veglia nel cortile esterno a Notre-Dame de la Délivrance, nel quartiere della Quarantaine, nelle immediate vicinanze del porto, alla presenza del nunzio apostolico mons. Paolo Borgia.

La cerimonia è stata seguita da una processione e dalla benedizione di 253 giovani ulivi dedicati alle vittime dell’esplosione, piantati sulla strada che conduce al porto. Il numero 253 corrisponde al numero aggiornato delle vittime, alcune delle quali sono decedute a causa delle ferite riportate diversi mesi, o addirittura anni, dopo la tragedia. Inoltre, decine di feriti, tra gli oltre 6mila registrati negli ospedali, portano ancora i segni invalidanti dei danni riportati.

Durante la veglia, l’ambasciatore della Santa Sede ha letto un messaggio inviato dal segretario di Stato card. Pietro Parolin. “In occasione del quinto anniversario della tragica esplosione nel porto di Beirut, il Santo Padre, Papa Leone XIV, assicura a voi e a tutti i libanesi la sua vicinanza spirituale e la sua comunione nella preghiera” sottolinea la nota. “In questo momento di raccoglimento, vi invita a meditare - prosegue - sull’atteggiamento e sulle parole di Cristo di fronte alla morte del suo amico Lazzaro. Infatti, Gesù ha illuminato il mistero della nostra morte. Di fronte alla morte, Gesù ha pianto e le sue lacrime si uniscono alle nostre di fronte alla perdita e alla sofferenza delle persone che ci sono care. Così, Cristo è vicino a ciascuno di voi” e nella “speranza cristiana” vi è la “certezza che Cristo è il Dio della vita e che la morte non ha e non avrà mai l’ultima parola”.

Verità e giustizia sacre

Oltre a leggere il messaggio del card. Parolin, il nunzio apostolico si è rivolto con un messaggio ai fedeli e a tutto il popolo libanese rinnovando l’appello perché sia fatta luce sulla tragedia, a cinque anni dai fatti. “Ottenere la verità e la giustizia - ha affermato il diplomatico vaticano  - è un diritto sacro in ogni Paese civile che rispetta i cittadini e la legalità”. “Preghiamo - ha quindi aggiunto - affinché il sacrificio di queste vittime, e di tante altre, offerte sull’altare dell’incompetenza e del malgoverno, della violenza, dell’odio, della guerra, non rimanga sterile. Preghiamo affinché non aggiunga odio all’odio, violenza alla violenza, ma porti frutti di bene e apra alla speranza di un futuro migliore”. Mons. Borgia ricorda le “testimonianze molto toccanti” che “abbiamo potuto ascoltare da parte dei genitori delle vittime e dei medici”. “È stato un bel momento di condivisione. Il senso di essere insieme era molto forte. Ho sentito - ha concluso il prelato - che potevo condividere la fede ed essere accanto ai genitori delle vittime nel loro dolore”. Oggi, infine, una messa e due marce sono previste per ricordare questa tragedia, mentre parenti e familiare affermano a gran voce che “saranno le azioni a contare, non le promesse”. 

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