13/10/2023, 15.33
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Dalla Palestina agli accordi con Israele: il riposizionamento dell'India in Medio Oriente

di Alessandra De Poli

Il primo ministro indiano ha subito condannato le azioni terroristiche di Hamas (che non gode di simpatie tra i musulmani indiani), segnalando apertamente un cambio di rotta nei rapporti diplomatici. Secondo il professor P.R. Kumaraswamy, docente all'Università Jawaharlal Nehru, le premesse per il cambiamento c'erano già decine di anni fa: "L'India aveva un'importante comunità ebraica ma non c'è mai stato antismeitismo". Tra Delhi e Tel Aviv molti gli accordi commerciali su armi e hi-tech, ma il primo settore di cooperazione bilaterale resta l'agricoltura. 

New Delhi (AsiaNews) - Dopo lo scoppio della guerra tra Gaza e Israele, riaccesasi a seguito dell’attacco da parte di Hamas contro lo Stato ebraico il 7 ottobre, il primo ministro indiano Narendra Modi ha manifestato apertamente il proprio sostegno a Tel Aviv, scrivendo su X, precedentemente Twitter: “Sono profondamente scosso dalle notizie di attacchi terroristici in Israele. I nostri pensieri e le nostre preghiere vanno alle vittime innocenti e alle loro famiglie. Solidarizziamo con Israele in queste ore difficili”.

Un messaggio che potrebbe apparire in netto contrasto con quella che è stata la storica politica portata avanti dall’India, che come leader del movimento dei Paesi non allineati negli anni ‘50, ha sostenuto per decenni la causa palestinese. “In realtà”, spiega il professor P.R. Kumaraswamy, docente di Studi contemporanei sul Medio Oriente all'Università Jawaharlal Nehru e direttore onorario dell'Istituto sul Medio Oriente di New Delhi, “nonostante l’India sostenesse la causa palestinese, aveva al suo interno un’importante comunità ebraica ed è ritenuto uno dei pochissimi Paesi al mondo a non aver conosciuto un vero e proprio movimento antisemita, che al contrario viene visto come fenomeno tutto europeo”.

Ancora oggi esiste una microscopica comunità ebraica in India, molto vivace e diversificata. Negli anni ‘50 diversi ebrei indiani, provenienti da quella che allora si chiamava Bombay e oggi Mumbai, avevano provato a vivere in Israele ma preferirono poi tornare nella loro terra natale. “Oggi formano una comunità microscopica, ma molto vivace e diversificata”, commenta l’accademico, prima di spiegare il contesto storico in cui si sono evolute le relazioni diplomatiche bilaterali.

“A causa della partizione tra India e Pakistan nel 1947, che fu un trauma per la popolazione di allora, l’India non era a favore di una divisione dei territori tra Palestina e Israele e riconobbe lo Stato ebraico solo nel 1950, due anni dopo la sua creazione - illustra Kumaraswamy -, ma ci fu fin da subito uno sforzo per migliorare le relazioni diplomatiche, almeno fino alla crisi del canale di Suez”.

Nel 1956 Francia, Inghilterra e Israele occuparono militarmente il canale, provocando l’immediata reazione degli Stati Uniti e dell’Unione sovietica, nonostante fosse appena iniziata la guerra fredda. “A quel punto il processo di avvicinamento diplomatico tra India e Israele si bloccò e la leadership indiana decise che i rapporti tra i due Paesi si sarebbero evoluti solo in concomitanza con un cambiamento sistemico a livello globale. Fu una promessa fatta al tempo dal premier indiano Jawaharlal Nehru, il primo capo di governo post-indipendenza, ma ci vollero 40 anni affinché si realizzasse”, prosegue il docente. In questo schema bloccato di alleanze, l’India appoggiò l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP), permettendole nel 1975 di aprire un proprio ufficio a New Delhi e nel 1988 fu il primo Paese non arabo a riconoscere l’indipendenza palestinese. 

“La situazione cambiò con il collasso dell’Unione sovietica e la fine della Guerra fredda”, commenta l’esperto. Nel 1992 l’India aprì la propria ambasciata a Tel Aviv: da quel momento ebbero avvio gli scambi commerciali tra i due Paesi e iniziarono le collaborazioni in diversi settori. È importante ricordare che uno dei due porti di Haifa è stato rilevato all’inizio di quest’anno per 1,2 miliardi di dollari da una delle compagnie del gruppo Adani (il noto multimiliardario amico del premier Modi), diventando potenzialmente una delle maggiori fonti di entrate per la società ma anche per il governo indiano, soprattutto se dovesse essere realizzato un collegamento infrastrutturale attraverso il resto del Medio Oriente.

L’India aspira inoltre a eguagliare l’economia high-tech d'Israele: il mercato indiano della sicurezza informatica vale oggi circa 4 miliardi di dollari e si prevede che raddoppierà entro il 2028. Tra il 2000 e il 2022, gli investimenti diretti esteri israeliani in India sono saliti fino a un valore di 270,91 milioni di dollari, mentre il commercio bilaterale ammonta a 7.86 miliardi di dollari.

Ma Israele è oggi anche uno dei maggior partner commerciali dell’India nel settore della difesa: solo per fare un esempio, tra la prima elezione di Modi a maggio 2014 e novembre dello stesso anno, Israele ha esportato in India armi per un valore di 662 milioni di dollari, una cifra tre volte superiore rispetto al totale delle esportazioni israeliane in India nei tre anni precedenti messi insieme. Oggi si stima che con una spesa di oltre 1 miliardo di dollari all’anno, l’India sia il principale acquirente di articoli per la difesa di fabbricazione israeliana, ma gli accordi in questo settore sono ampi, vari e si sono approfonditi nel corso degli ultimi dieci anni, soprattutto grazie al tacito assenso degli Stati Uniti, storici alleati dello Stato ebraico.

“Tuttavia - spiega ancora il professor Kumaraswamy -, il primo settore di cooperazione è l’agricoltura. Dal 2017 è aumentata l’attenzione e il trasferimento di know-how per la gestione delle risorse idriche, un’efficiente produzione ortofrutticola, la floricoltura...”. In India sono così state create decine di quelli che vengono chiamati "centri per l’eccellenza", attraverso cui Israele fornisce formazione agli agricoltori indiani “perché, come è noto, l’agricoltura è la principale fonte di reddito e di occupazione per oltre la metà della popolazione indiana e contribuisce per quasi il 18% al PIL nazionale. Anche in tale campo Israele può offrire tecnologie avanzate”. 

In quello stesso anno il premier Modi era andato in visita a Tel Aviv e per la prima volta non si era fermato a Ramallah, considerata la capitale de facto dell’Autorità nazionale palestinese (ANP) che governa la Cisgiordania, sebbene, nelle arene internazionali - e quindi almeno a livello “di facciata” - New Delhi continui a sostenere la “soluzione a due Stati”. 

Nonostante con l’arrivo al potere del Bharatiya Janata Party, il partito ultranazionalista indù da cui proviene Modi, si sia registrata una crescente islamofobia, Hamas non gode di particolari simpatie in India, dove, dopo l’Indonesia, risiede la più popolosa comunità musulmana al mondo, composta da circa 200 milioni di persone: “Il Paese in questo senso è unito nel condannare le azioni di Hamas”, sostiene il professore di Studi mediorientali, che non prevede disordini a livello di politica interna. “Sotto questo punto di vista l’Islam indiano è completamente diverso da quello mediorientale. Ogni anno moltissimi musulmani indiani si recano in Israele e in Terra Santa". 

Per esempio i funzionario dell’India Administrative Service (IAS) Shah Faesal, il primo cittadino dalla regione a maggioranza musulmana del Kashmir a lavorare per i servizi civili indiani, ha ribadito sui social la posizione del governo: “I musulmani indiani non hanno mai sostenuto l'escalation di violenza in Medio Oriente. Le immagini terrificanti degli israeliani innocenti uccisi da Hamas oggi spezzano il cuore di tutti. Il terrorismo non ha aiutato nessuno e non aiuterà nemmeno i palestinesi”. 

Allo stesso tempo, tuttavia, la Lega musulmana dell'Unione indiana (IUML) ha dichiarato che l'occupazione israeliana della Palestina è la causa principale delle tensioni e ha chiesto al governo di Modi di “continuare la vecchia politica nei confronti della Palestina”, appellandosi a una soluzione politica mediata dalle Nazioni Unite. Per il professor Kumaraswamy è improbabile che questo ruolo possa essere svolto da New Delhi “perché - spiega - l’India ha relazioni con l’Autorità nazionale palestinese, non con Hamas, che ha denunciato come organizzazione terroristica”.

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