04/12/2025, 12.05
INDIA
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Delhi: donna incinta espulsa con l'accusa di essere straniera, Corte suprema ordina rimpatrio

Sunali Khatun, arrivata al nono mese di gravidanza, era stata respinta oltre il confine con la famiglia e detenuta in Bangladesh come "migrante illegale". I giudici indiani hanno accusato il governo centrale di aver ignorato prove che attestano la cittadinanza indiana. Delhi alla fine ha accettato il rientro “per motivi umanitari”. Un volto aberrante delle espulsioni sommarie condotte attraverso lo Stato dell'Assam contro cittadini musulmani di etnia bengalese.

New Delhi (AsiaNews) - Una donna incinta è stata espulsa dall’India insieme al resto della sua famiglia perché accusata di essere una migrante “bengalese”. Ieri il governo indiano, su ordine della Corte suprema, ha deciso di riportarla in India, per “motivi umanitari”, separandola dal marito e dagli altri figli piccoli. Sunali Khatun, 26 anni, la cui gravidanza nel frattempo è arrivata al nono mese, “potrebbe entrare in travaglia in qualunque momento”, ha spiegato il suo avvocato. 

La giovane, originaria dello Stato indiano del Bengala occidentale ma residente da anni a Delhi, era stata fermata lo scorso giugno dalla polizia con l’accusa di essere entrata illegalmente in India dal Bangladesh. Insieme al marito, Danish Sheikh, ai due figli minori e a un’altra famiglia del loro stesso villaggio, è stata poi condotta oltre confine e trattenuta dalle autorità bengalesi che l’hanno accusata di essere una “infiltrata”. Sunali e Danish lavoravano come raccoglitori di rifiuti per poi rivenderli e, secondo quanto è emerso dalle indagini, sono stati espulsi attraverso lo Stato nord-orientale dell’Assam, dove sono stati picchiati e malmenati dalle guardie di frontiera indiane.

La vicenda giuridica è stata complicata dalle tensione tra il governo centrale di Delhi guidato dal partito estremista indù Bharatiya Janata Party (BJP) del primo ministro indiano Narendra Modi, e il Trinamool Congress, che governa il Bengala occidentale sotto la guida della leader Mamata Banerjee

Il 26 settembre l’Alta Corte di Calcutta aveva già ordinato al governo centrale di riportare in India Sunali e altri cinque lavoratori bengalesi che erano stati respinti oltre il confine senza un giusto processo. Due giorni prima della scadenza fissata dai giudici, il governo dell’Unione si è rivolto alla Corte suprema per contestare l’ordine, mentre il governo del Bengala Occidentale ha presentato un ricorso per oltraggio alla corte, accusando Delhi di non aver rispettato il provvedimento.

I giudici della Corte suprema hanno duramente criticato il comportamento del governo centrale, accusato di aver rimpatriato la donna e gli altri presunti “irregolari” senza aver verificato se possedessero la cittadinanza indiana. Sunali Khatun e la sua famiglia hanno invece presentato un’ampia documentazione, che comprende certificati scolastici, atti di proprietà risalenti al 1952 e perfino le liste elettorali del 2002, in cui compaiono i nomi dei genitori come elettori registrati nel distretto di Murarai, nel Bengala occidentale. Sunali è stata accusata di essere entrata illegalmente in India nel 1998: in quell’anno, in realtà, non era ancora nata. 

“Se una persona afferma di essere nata e cresciuta in India, ha diritto a essere ascoltata”, ha osservato la Corte, chiedendo al governo procedure più chiare e una maggiore attenzione ai casi più delicati, come quello di una donna prossima al parto.

Mentre il caso avanzava a livello giuridico, Sunali Khuran e la sua famiglia sono rimasti detenuti per oltre tre mesi nel distretto di Chapai Nawabganj, in Bangladesh, prima in un centro di correzione e poi in una casa in affitto quando un tribunale locale ha concesso loro la libertà su cauzione. “Non abbiamo commesso alcun crimine”, ha raccontato Sunali in un videocollegamento alla testata indiana The Wire. “Sono alla fine della gravidanza. Chiedo di poter tornare nel mio Paese, vicino alle persone che amo”, ha aggiunto in lacrime.

Il governo di Delhi ha infine annunciato di essere disposto a riportare la donna in India insieme al figlio di otto anni, ma non al resto della famiglia, che per ora rimarrà in Bangladesh in attesa della conclusione del procedimento legale. Si tratta di una decisione che è stata ampiamente criticata perché rischia di imporre alla donna un nuovo trauma, quello della separazione dal marito e dagli altri figli.

Il caso di Sunail Khuran non è isolato: negli ultimi mesi numerosi migranti musulmani di etnia e lingua bengalese (che vivono soprattutto nel Bengala occidentale, ma anche in diversi altri Stati indiani, così come in Bangladesh e Pakistan) sono stati espulsi in modo sommario e senza garanzie legali, soprattutto nell’Assam, guidato anche in questo caso dal BJP. 

Da maggio di quest’anno, le autorità hanno rispedito in Bangladesh centinaia di persone musulmane etichettate come “infiltrate” o lavoratori irregolari, anche quando vivevano da decenni in India, possedevano proprietà o figli nati nel Paese. 

Si tratta di un’ondata di espulsioni resa possibile da una controversa ridefinizione da parte dei tribunali per stranieri (Foreigners Tribunals), organismi incaricati di stabilire se una persona sia straniera o meno. Negli ultimi anni questi tribunali hanno ottenuto sempre più potere decisionale, scavallando l’autorità del registro nazionale dei cittadini (NRC), che dovrebbe contenere l’elenco di tutti i cittadini indiani. In una versione dell’elenco, rivisto nel 2019, circa 2 milioni di persone sono però state escluse dalla lista finale, portando ad espulsioni di massa e all’apertura di numerosi casi ai tribunali per stranieri.

A tutto questo si aggiunge il problema dell’onere della prova, che ricade interamente sull’individuo sospettato di essere “straniero”. Molte persone si trovano a dover dimostrare di essere cittadine e cittadini indiani, con documenti vecchi, difficili da reperire o pieni di piccole discrepanze anagrafiche. Diverse organizzazioni umanitarie hanno denunciato questa pratica, sottolineando che espone soprattutto i più poveri e gli analfabeti al rischio di perdere la cittadinanza pur essendo nati e cresciuti in India.

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