Dushanbe: riabilitazione degli ‘estremisti’ in cella per un like
L’obiettivo del programma è il ritorno a una “vita dignitosa” in società dei detenuti. Lo Stato pronto a stanziare quasi 3,6 milioni di dollari per un piano quinquennale. La vera minaccia della radicalizzazione si crea proprio all’interno dei luoghi di prigionia. La crescita esponenziale dei condannati legata alla repressione del dissenso della classe politica.
Mosca (AsiaNews) - In Tagikistan è stato attivato un nuovo programma di riabilitazione e di integrazione per le persone condannate con l’accusa di estremismo, ritenuto indispensabile per il grande numero di detenuti incarcerati per questo reato. Come mostra la pratica, molti fra questi prigionieri non avevano costituito un vero pericolo per la società, almeno prima di finire dietro le sbarre.
Secondo i documenti ufficiali, il programma è finalizzato al ritorno degli “estremisti” alla “vita pienamente dignitosa nella società”. Per questo, negli istituti di riabilitazione s’intendono attivare diverse iniziative, dalle consultazioni psicologiche fino ai corsi di artigianato, manifestazioni culturali e corsi di psicologia penitenziaria. Lo Stato mette a disposizione un investimento di 38,5 milioni di som (circa 3,6 milioni di dollari) per un periodo di cinque anni, che sarà finanziato dall’erario e da fonti esterne al bilancio, comprese le libere donazioni.
I dirigenti dell’Amministrazione per le sanzioni penali del Tagikistan (Guiun) hanno dichiarato che “il programma aiuterà i detenuti a liberarsi delle convinzioni distruttive, e a prepararsi al ritorno nella società”. La crescita esponenziale dei condannati per estremismo, in effetti, dipende anche da una stretta della politica statale nei confronti di ogni forma di espressione pubblica ritenuta troppo radicale.
Secondo i dati forniti dal ministro degli Interni Ramazon Rakhimzoda, nel 2024 sono stati registrati 1.750 casi, con 365 persone arrestate per partecipazione a gruppi di tendenze estremistiche. Sono 401 le persone attualmente ricercate per questi motivi, mentre sono 499 quanti si sono costituiti spontaneamente. Il ministro informa inoltre che sono stati individuati 212 casi di “finanziamento del terrorismo ed estremismo”, con 112 persone arrestate.
Uno dei fattori che incide sulla radicalizzazione delle persone è la vicinanza con l’Afghanistan, una questione di sicurezza nazionale che preoccupa i tagichi fin dall’inizio del trentennio dell’indipendenza del Paese. I tribunali del Tagikistan, come ha denunciato anche Amnesty International, spesso adottano criteri molto arbitrari e discutibili, condannando i cittadini a pene molto severe anche solo per un like su qualche rete social, riducendo veramente al minimo la libertà di espressione.
Come commenta l’esperto Temur Umarov del centro Carnegie di Berlino, “le limitazioni alla libertà e le pressioni sui media conducono a considerare ogni forma di attività come una minaccia per lo Stato”. In aprile, in seguito alle critiche dello stesso presidente Emomali Rakhmon, sono state apportate delle modifiche alle norme, che escludono sanzioni penali per i like e i repost su internet che contengono critiche al regime o simpatizzano con organizzazioni proibite, che fino ad aprile erano considerati come gravi violazioni, mentre la Camera dei deputati ha ora approvato la loro esclusione dalle pene automatiche.
Secondo il primo vice-procuratore del Tagikistan, Umed Karimzoda, sono attualmente più di 1.500 le persone incarcerate per segnali e commenti sulle reti social. Molti osservano che la vera minaccia della radicalizzazione in realtà si crea proprio all’interno dei luoghi di detenzione, “dove le persone arrestate per motivi banali cominciano ad ascoltare le prediche dei condannati per vere forme di estremismo ideologico e religioso, con cui si trovano a stretto contatto”, come afferma un anonimo intervistato da Radio Azattyk.
Con questo giudizio è d’accordo anche Azamat Šambilov, esperto nel campo dei diritti dell’uomo del Fondo internazionale per i sistemi penitenziali nei Paesi della Csi (Ippf). L’attivista ricorda che “la radicalizzazione in prigione è un fenomeno globale che si verifica in tanti Paesi diversi, soprattutto nei gruppi di detenuti più sensibili, per cui le galere diventano delle vere proprie incubatrici dell’estremismo”.
Il paradosso della repressione in Tagikistan è che proprio questa politica trasforma delle persone pacifiche in potenziali terroristi, con rischi ulteriori per la società, e proprio per questo è stato deciso un passo indietro e un programma di sostegno. La speranza è di arginare una deriva che potrebbe condurre a conseguenze veramente devastanti.
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